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Vi racconto la trappola cinese. La verità di Dolkun Isa

Di Dolkun Isa

Pubblichiamo un estratto del libro La trappola cinese, di Dolkun Isa, politico e attivista cinese uiguro della regione autonoma dello Xinjiang, e la prefazione del senatore Giulio Terzi Sant’Agata

Prefazione di Giulio Terzi di Sant’Agata 

Ho conosciuto il “terrorista” Dolkun Isa quando ogni porta gli era chiusa. Quando su di lui pendeva una Red Notice di Interpol, la segnalazione rossa che l’Organizzazione Internazionale della Polizia Criminale emana per individui ricercati da una giurisdizione, da un tribunale nazionale o internazionale, in vista dell’estradizione. Per il leader uiguro, la Red Notice era probabilmente la minaccia più grave tra una serie di atti vessatori che lo hanno accompagnato per quasi tutta la sua vita. Inserito nella lista dei ricercati nel dicembre 2003, ne è uscito solo nel febbraio 2018.

Uno strumento, quello della Red Notice, di cui Pechino ha abusato sfacciatamente in ogni sede, in primis presso le Nazioni Unite a New York dove, nel marzo 2018, l’autore ha dovuto confrontarsi con i tentativi fraudolenti, confermati dal Vice Ambasciatore degli Stati Uniti alle Nazioni Unite dell’epoca, Kelley Eckels Currie, di applicare la segnalazione di Interpol nonostante questa fosse stata ritirata. Tuttavia, il dato più inquietante è un altro: il silenzio dimostrato dal Segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres nella circostanza. Anziché verificare con gli uffici competenti e prendere atto della rimozione di Dolkun Isa dalla lista degli individui sottoposti a Red Notice, i massimi uffici dell’ONU hanno temporeggiato.

Da un lato non hanno concesso il permesso all’esponente uiguro di entrare nel Palazzo di Vetro, dall’altro non lo hanno nemmeno arrestato. Un 6 La trappola cinese penoso espediente, fortunatamente non andato a buon fine, di guadagnare tempo affinché fosse troppo tardi per il lui partecipare al Forum dei Popoli Indigeni dove era previsto che intervenisse. Una sconfitta soprattutto per la Cina che non ha voluto accettare questo fallimento perché sembrava sminuire la loro egemonia su istituzioni come l’Onu e l’Interpol, un’egemonia dalla quale però hanno beneficiato illegalmente.

Come racconta Dolkun, un episodio simile era accaduto anche in Italia. Nel luglio 2017 era stato invitato dal Senatore Luigi Compagna a Roma ad una conferenza al Senato co-organizzata con l’Unpo e il Global Committee for the Rule of Law. Isa era atterrato a Fiumicino, si era poi registrato all’hotel, e aveva trascorso alcune ore all’aperto. Tutto nella norma, fino a quando, poco prima di varcare la soglia del Senato per guadagnare la sala della conferenza, non veniva fermato da alcuni agenti che lo facevano salire a bordo della loro vettura per portarlo nella stazione di polizia più vicina.

Non partecipò dunque alla conferenza, e anzi, furono necessarie quattro ore ed una conferma da parte delle autorità di Berlino che Isa è anche un cittadino di nazionalità tedesca e, soprattutto, che non era affatto un terrorista ma il Presidente del World Uyghur Congress (WUC): una organizzazione che promuove la causa di una minoranza perseguitata dal regime cinese, ovvero gli uiguri del Turkestan dell’Est, anche nota come Regione Autonoma dello Xinjiang. Quando fu rilasciato, Dolkun volle comunque tenere la conferenza stampa nella sede del Partito Radicale dove denunciò i gravi fatti appena avvenuti.

Ma non era finita: il giorno successivo, a Dolkun fu ancora vietato l’ingresso a Palazzo Madama dove il senatore Compagna lo aveva invitato a colazione. 7 Prefazione Il caso fece scalpore anche perché all’incomprensibile trattamento del leader uiguro, si aggiungeva quello riservato ad un Senatore della Repubblica Italiana, ostacolando un suo legittimo incontro. L’incidente rivelò, come altri, indebite ingerenze cinesi in attività e contesti istituzionali di membri del Parlamento. Ma non fu sufficiente affinché i governi italiani succedutisi nelle ultime legislature prendessero le misure necessarie per arginare le pressioni e le influenze di Pechino. Il vento però sembra cambiato con la maggioranza espressa dalla XIX legislatura.

Molto resta senz’altro da fare per contrastare le interferenze a parte di Paesi, come la Cina, che negano l’universalità dei diritti umani, propagano disinformazione, sottraggono illegalmente dati e tecnologie sensibili anche nel dominio cyber. Ritengo sia opportuno dunque invitare sollecitamente il Presidente del Wuc al Senato italiano affinché possa offrire la sua testimonianza sulla situazione della minoranza uigura. Sarà il modo migliore per ribadire la stima che nutro nei suoi confronti, in continuità con quanto fatto anche da Marco Pannella sin dai primi anni 2000. Un filo che riparte da un incontro pubblico organizzato nella sede del Partito Radicale, nell’ottobre 2017, a cui ho partecipato come presidente del Comitato Globale per lo Stato di Diritto, con Matteo Angioli che del Comitato Globale è Segretario generale, in cui abbiamo ulteriormente rafforzato e precisato il lavoro a sostegno del riconoscimento del diritto alla conoscenza. Un tema che, assieme a quello della promozione dell’universalità dei diritti umani, reputo imprescindibile.

Da diverso tempo è infatti iniziata l’offensiva di Pechino per stabilire un nuovo diritto internazionale, uno stato di diritto “con caratteristiche cinesi”, rule by law anziché 8 La trappola cinese rule of law, dove per stato di diritto si intende cioè la fredda applicazione della legge, indipendentemente dalla sua correttezza o meno. Poco a che vedere quindi con la Dichiarazione della 67a Assemblea Generale dell’Onu del 24 settembre 2012 secondo cui lo Stato di Diritto è “un principio di governo nel quale tutte le persone, le istituzioni, le entità pubbliche e private, incluso lo Stato stesso, devono rispondere a leggi promulgate pubblicamente, applicate in egual modo, giudicate in maniera indipendente e coerenti con le norme e i principi internazionali sui diritti umani.”

In questo senso, la condizione della popolazione uigura riguarda la grande questione della libertà religiosa, di credere o di non credere, della libertà di pensiero e del principio di tolleranza. Questi valori universali sono elementi tutt’altro che secondari nella geopolitica contemporanea delle relazioni internazionali, nei processi di integrazione volti a rendere omogenee le nostre società. È davvero fondamentale affrontare queste sfide nell’Unione europea oltre che nei singoli Stati membri. Oltre all’uso fraudolento di Interpol, l’azione inarrestabile di Dolkun Isa fa venire al pettine un altro nodo: la libertà di credere e di non credere.

Perfino il regime comunista cinese garantisce la libertà religiosa. Secondo l’articolo 36 della Costituzione della Repubblica Popolare Cinese, i cittadini godono della libertà di culto di religione, non è ammessa nessuna discriminazione su basi religiose e lo Stato protegge e tutela le attività religiose. Ciò avviene solo sulla carta. Nella realtà le tragedie tibetana e uigura – con le politiche di assimilazione e i campi di rieducazione in cui sono internati almeno tre milioni di uiguri, nel nome della lotta al separatismo e al terrorismo – testimoniano che la libertà religiosa, il diritto di credere o meno, così come il diritto alla libertà di opinione, di 9 Prefazione riunione per un miliardo e quattrocento milioni di cinesi non esistono.

In Xinjiang la Cina continua a massacrare la popolazione locale attuando politiche genocidarie. La mente corre alla Seconda Guerra Mondiale, a Hitler, al nazismo e ai sei milioni di ebrei uccisi. Non dobbiamo assolutamente dimenticare però che all’epoca della Rivoluzione culturale il Partito comunista cinese aveva ucciso 48 milioni di persone. Non solo appartenenti a minoranze, ma anche cittadini di etnia Han. Sono numeri calcolati da esperti che ci aiutano a comprendere il terrore che gli uiguri oggi hanno rispetto al dragone. Così come i cambogiani, traumatizzati dal massacro perpetrato dai Khmer Rossi di Pol Pot, oggi temono il riallineamento della Cambogia alla Cina. Pechino può dimostrarsi, e ahinoi ancora si dimostra, capace di tutto. Dopo l’ascesa al potere di Xi Jinping nel 2013, il Partito Comunista Cinese ha inasprito la linea discriminatoria ed assimilazionista nel Turkestan dell’Est passando ad una apertamente genocida.

A partire dal 2016, il Pcc ha costruito campi di concentramento in Xinjiang definendoli “centri di rieducazione” dove sono confinati milioni di uiguri, kazaki e altri musulmani turchi. Dolkun Isa parla chiaramente di genocidio, e lo fa basandosi sulla risoluzione adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1948 che crea la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio. Tra gli atti compiuti con l’obiettivo di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religiose, configurano il crimine di genocidio l’uccisione di membri del gruppo; le lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; il sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua 10 La trappola cinese distruzione fisica, totale o parziale; le misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; il trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro.

Se la Cina è in grado di perpetrare tali atti, non deve affatto stupire la sua determinazione volta a piegare al servizio del proprio interesse nazionale agenzie come Interpol e l’Onu. Per 21 anni, la Red Notice di Interpol spiccata nei confronti del Presidente del Wuc (rimossa il 21 febbraio 2018) ha condannato quest’ultimo a vivere in una sorta di braccio della morte itinerante derivante dal rischio costante di estradizione in Cina.

Dolkun è stato sottoposto a detenzioni in Svizzera, Turchia, Corea del Sud, Italia e Stati Uniti. Non trovo casuale allora la scelta dell’autore di dedicare le prime frasi del suo libro al mondo libero, all’Occidente, allo Stato di Diritto a cui tutti noi guardiamo con fiducia e con consapevolezza dei rischi crescenti posti dalla contrapposizione con il mondo non libero delle autocrazie. Dolkun Isa scrive: “Nonostante viva nel mondo libero, mi sono sentito imprigionato per gran parte della mia vita. Pur essendo un cittadino di un Paese europeo (…) ho continuato ad affrontare ingiustizie. Sono stato privato della mia libertà. La mia dignità è stata calpestata. Sono stato arrestato e interrogato. (…) È successo nei Paesi occidentali che sono governati dallo stato di diritto. Quei problemi erano tutti il risultato dei tradimenti del regime più oppressivo e autocratico del mondo, il Partito Comunista Cinese (PCC).” Parole tanto amare quanto forti che suonano come un potente richiamo a noi stessi.

La leader democratica birmana, Aung Saan Suu Kyi, che ho avuto l’onore di conoscere nel 2012, durante il mio incarico da Ministro degli Esteri nel Governo Monti, si rivolgeva ai leader e ai cittadini del mondo libero con queste parole: “usate la 11 Prefazione vostra libertà per promuovere la nostra”. Lo sottoscrivo in pieno. È sempre più urgente raccogliere un’esortazione che riecheggia le parole di un altro leader democratico, Marco Pannella: “dove c’è strage di diritto, prima o poi c’è strage di popoli”.

(…)

LA DETENZIONE A ROMA

Nel luglio del 2017 ricevetti un invito dal senatore italiano Luigi Compagna. Stava organizzando una conferenza stampa al Senato italiano per presentare la crisi uyghura, in collaborazione con il Partito Radicale, e mi chiedeva di partecipare. Ero membro del Partito Radicale Nonviolento e Marco Pannella, fondatore del partito, era un mio caro amico. Marco Pannella era morto nel maggio del 2016, ma per tutta la sua vita era stato un veemente sostenitore del movimento uyghuro e aveva organizzato molte conferenze sugli uyghuri e sui tibetani in Italia e al Parlamento Europeo. Dopo la morte del mio amico, i miei rapporti con il partito erano continuati, pertanto accettai con gioia l’invito del signor Compagna. La conferenza stampa era prevista per il 26 luglio.

Arrivai a Roma il 25 luglio e mi registrai in albergo. La mattina dopo, visitai la sede del Partito Radicale, incontrai Maurizio Turco, il leader del Partito, e Laura Hart, la sua rappresentante all’Onu. Poi, alle 10:30 ci recammo insieme a piedi al palazzo del Senato. 10 minuti dopo essere giunti davanti all’edificio, un gruppo di circa 20 persone si radunò all’ingresso. Pensavo fossero giornalisti, finché non iniziarono a camminare verso di noi. “Lei è il signor Isa?” chiese un uomo tra loro, in inglese. “Sì, sono io”, dissi. «Siamo agenti della sicurezza nazionale», disse, mostrando il suo distintivo.

“Possiamo controllare La trappola cinese 170 la sua carta d’identità, per favore?” Consegnai il mio documento. “Per favore, venga con noi, dobbiamo condurre una breve indagine”, disse. “Quale indagine?” chiesi, contrariato. «Stiamo facendo il nostro lavoro, per favore collabori. Venga con noi, la riporteremo qui in mezz’ora. “La conferenza stampa inizia alle 11:00. Potete farlo dopo la conferenza”, dissi. “Lo sappiamo, ma deve venire subito. Se non collabora, dovremo costringerla», replicò, con voce ferma. Il signor Turco parlò con gli agenti, a lungo.

Tuttavia, neanche la disapprovazione del leader del partito funzionò. Gli agenti mi portarono alla loro macchina, dove contattai il Ministero degli Esteri tedesco e li informai dell’accaduto. Arrivammo a un magnifico edificio, costruito in stile romano. Mi condussero dentro, in un ufficio, e mi dissero di aspettare lì. Un agente di polizia rimase con me. Gli chiesi perché ero stato chiamato per questa indagine. Mi disse che non poteva rispondere, che stava solo facendo il suo lavoro. Poi parlammo di altre cose. Altri agenti di polizia passavano a controllare ogni tanto. Mi interrogarono, offrendomi tè e caffè tra una domanda e l’altra. «Ha un altro nome? Qualche altra cittadinanza? Ha mai commesso un reato? Quando si è trasferito in Germania?» Erano gentili con me, ma io ero a disagio e irritato per queste domande banali. Non sapevo perché mi stavano trattenendo, ma sospettavo che avesse a che fare con la red notice dell’Interpol. Non poteva esserci altra ragione.

Dopo tre ore, entrarono diversi agenti di polizia e mi dissero che mi avrebbero preso le impronte digitali, assicurandomi che la procedura sarebbe finita di 171 La detenzione a Roma lì a poco. Mi portarono all’ufficio tecnico, mi presero le impronte digitali e mi scattarono una foto. Non erano severi, ma venivo trattato come un criminale, come nel 2005, quando mi detennero a Ginevra. Poi mi riportarono nello stesso ufficio di prima, mi dissero di aspettare un po’ e che sarei stato rilasciato presto. Più tardi, seppi che l’Ambasciata tedesca a Roma aveva comunicato alle autorità italiane che la red notice dell’Interpol era un errore e che la Germania non la riconosceva, chiedendo pertanto che venissi rilasciato immediatamente. Mi rilasciarono dopo quattro ore. Non aveva senso tornare alla conferenza stampa perché era già finita. Dovevo tornare a Monaco nel giro di tre ore.

“Lasci che l’accompagniamo all’aeroporto», mi dissero gli agenti di polizia. «Posso andare da solo, grazie per la vostra generosità”, risposi. “Allora si faccia portare alla sede del Partito Radicale”. ribatterono. “No, ci andrò da solo”. Insistettero. Non capivo la loro ostinazione. I giornalisti stavano aspettando davanti alla stazione di polizia. La notizia della mia detenzione si era rapidamente diffusa ai media attraverso le informazioni del Partito Radicale Nonviolento. Non potevo rifiutare la loro richiesta, quindi accettai che mi lasciassero alla sede del Partito Radicale Nonviolento. Lasciammo l’edificio attraverso la porta sul retro e mi condussero alla loro macchina. Se ne andarono solo dopo che entrai nella sede del partito. Il signor Turco e la signora Laura non erano in ufficio. Chiesi alla segretaria dove fossero andati.

“Cosa sta facendo qui? La stanno aspettando davanti alla questura”, disse sorpresa la segretaria. La trappola cinese 172 Informammo i vertici del Partito Radicale Nonviolento che ero stato rilasciato. Tornarono dalla stazione di polizia per incontrarmi. Con loro c’era il senatore Compagna. Tenemmo una conferenza stampa presso la sede del partito, e il senatore Compagna criticò il governo italiano, dicendo: “L’Italia si è inchinata alla Cina”. La conferenza stampa al Senato era stata annullata a causa della mia detenzione, e lui dava la colpa alla polizia italiana. L’Italia non aveva ancora firmato la Belt & Road Initiative , un imponente progetto infrastrutturale cinese, ma l’influenza cinese in Italia era abbastanza forte.

L’Italia divenne poi la prima nazione dell’Ue a firmare la Bri nel 2019. Al termine della conferenza stampa, il signor Compagna dichiarò: “Signor Isa, in Italia è successo un fatto increscioso. Ci scusiamo tutti. Le chiedo gentilmente di restare ancora un giorno. Organizzerò un’audizione al Senato. Spero che possa restare per parteciparvi». «Sembra fantastico, spero solo di non essere arrestato di nuovo domani», scherzai. «Niente di simile accadrà mai più in Italia», dichiarò Compagna, con voce ferma. Così, cancellai il mio volo per Monaco per partecipare al programma al Senato italiano. Dissi loro che li avrei incontrati di fronte al palazzo del Senato la mattina seguente e andai in hotel. La mattina del 27 luglio arrivai al palazzo del senato con Laura Hart.

Il senatore Compagna attendeva. Sembrava pallido e dispiaciuto per qualcosa. Immaginai che c’erano stati dei problemi. Avevo ragione. Il governo cinese aveva protestato contro il mio ingresso al Senato italiano. «Se l’Italia consente a un terrorista come Dolkun Isa – sul quale pende una 173 La detenzione a Roma red notice dell’Interpol – di entrare nel suo Senato e parlare, ciò influirà sulle nostre relazioni diplomatiche e rimuoveremo la nostra ambasciata dall’Italia”, aveva avvertito la Cina. Nell’ultima decade, l’abitudine cinese di minacciare di tagliare i rapporti economici e diplomatici era diventata uno strumento efficace per esercitare influenza in molti Paesi, anche europei come l’Italia.

Tenemmo una conferenza stampa davanti al palazzo del Senato. Denunciammo il governo italiano per avermi vietato di accedere al Senato, affermando che ciò andava contro i principi dei diritti umani, della democrazia e dello stato di diritto. Il senatore Compagna non dimenticò questo episodio. Il 1 agosto, durante l’870a riunione del Senato italiano, Compagna rilasciò una dichiarazione scritta chiedendo spiegazioni ai ministri dell’Interno e degli Esteri italiani. Chiese di sapere chi aveva ordinato che la polizia mi detenesse per tre ore, chiese quale fosse la base giuridica per la mia detenzione, in quanto cittadino tedesco, essendo l’Italia membro del Consiglio di Sicurezza Europeo, e se ci fossero accordi segreti tra Cina e Italia.

La mia espulsione dal Senato italiano per volere della Cina e la mia detenzione da parte degli agenti della sicurezza nazionale italiana divennero dei temi caldi tra i media italiani. Il fermento durò alcune settimane. Credo che non avrei ricevuto una simile copertura o avuto un simile impatto mediatico se avessi invece parlato al Senato. Per via di questo episodio, molti italiani vennero a conoscenza degli uyghuri. Ancora più importante, il governo italiano si rese conto della propria debolezza a fronte alla pressione cinese. L’Italia è conosciuta in tutto il mondo come pioniera nell’industria tessile. Tuttavia, più del 70% dell’industria La trappola cinese 174 tessile italiana è stata acquistata da aziende cinesi; sono queste che realizzano i prodotti in tale settore. Sebbene quei prodotti indichino made in Italy, i produttori sono aziende cinesi, uomini d’affari e lavoratori cinesi.

Nel 2020, quando la pandemia di Covid-19 si diffuse dalla città cinese di Wuhan in tutto il mondo, l’Italia divenne uno dei primi focolai e la nazione europea più colpita dalla prima ondata del virus. Sebbene ci siano opinioni discordanti in merito, è chiaro che una delle cause principali fu l’arrivo di 100.000 cinesi in Italia a febbraio, dopo il capodanno cinese. Molti di loro erano stati contagiati dal Covid-19 e portarono il virus in Italia. Il Covid-19 risvegliò il governo e il popolo italiano e sui legami insidiosi con la Cina e l’opinione pubblica riflesse quel malcontento.

Tuttavia, quando il virus si diffuse nel resto del mondo, divenne una pandemia globale e causò contagi e morte in altri Paesi, il governo italiano e le persone italiane hanno iniziato piano piano a dimenticare la rabbia e il malcontento nei confronti della Cina. Malgrado ciò, attualmente c’è un crescente dibattito tra i politici italiani in merito a quanto la Cina rappresenti una minaccia per il mondo e per i valori democratici europei. Tre anni dopo la mia detenzione e il mio interrogatorio da parte della polizia italiana, ho assistito a molti cambiamenti in Italia e nel mondo. Sono stato invitato a testimoniare al Senato italiano nel luglio del 2020. Non molto tempo dopo, ho reso una testimonianza al Parlamento italiano il 1° ottobre, su invito della Commissione Relazioni Estere del Parlamento italiano. Entrambe le testimonianze sono state trasmesso online a causa della pandemia di Covid-19, ma credo segnalino che la mia interdizione dal Parlamento italiano è stata annullata.


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