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Consigli non richiesti a Enrico Letta: l’Italia non regge senza le grandi imprese

La storia si ripete, nel quadro della destabilizzazione politica italiana. Alle banche d’affari internazionali non interessa che l’Italia abbia sensazionali cambiamenti in meglio, ma interessa fare lucrose operazioni nel Paese. George Soros ha studiato a fondo il Movimento 5 stelle, perché si prepara a speculare al ribasso sull’euro. Marx ha scritto che la storia si ripete sempre due volte, la prima si presenta come tragedia, la seconda come farsa. La prima volta furono le “mani pulite” di Di Pietro, la seconda sono le “5 stelle” di Grillo. Ma l’Italia non può reggere una nuova cannibalizzazione del suo apparato di grandi imprese.

La situazione di vent’anni fa si ripete in modo preoccupante. Ci sono almeno quattro grossi problemi aperti che riguardano le grandi imprese italiane. Due sono pubbliche, cioè Finmeccanica ed Eni, che sono state messe in difficoltà da iniziative giudiziarie riguardanti operazioni internazionali, con un intreccio improprio fra processi penali ed economia industriale. E due sono private, l’Ilva per il centro siderurgico di Taranto, anche essa in virtù di un improprio intreccio fra processi e politica, e l’Alitalia a causa della carenza di mezzi per il suo rilancio internazionale.

Ma c’è molto altro, su cui si potrebbe mettere le mani. La svendita delle maggiori imprese italiane che ha cambiato il corso della nostra economia, generando un rallentamento economico, da cui sembrava che fossimo finalmente usciti nei primi anni del nuovo secolo, ebbe inizio nel giugno 1992 con la riunione sul panfilo Britannia, fra finanzieri internazionali e italiani e politici e manager nazionali. Si è a lungo alimentata la notizia che protagonista dell’operazione fosse il direttore generale del Tesoro Mario Draghi, che invece scese dal Britannia dopo la sua risoluzione introduttiva, prima che esso salpasse dal porto di Civitavecchia e iniziasse il “meeting”. Il Panfilo andò all’Argentario dove ad attenderlo c’era il giornalista di Canale 5 Enrico Mentana, che voleva notizie dell’incontro. Sembra abbia intervistato Beppe Grillo, appena sceso dall’imbarcazione, o forse era anche lui lì ad attenderla. Il ragioniere Beppe Grillo allora capeggiava un movimento contro Bettino Craxi e il Partito socialista italiano, i maggiori ostacoli da eliminare per fare
le privatizzazioni a favore di multinazionali e di capitalisti italiani senza capitale intrecciati con la politica, tramite banche d’affari.

La questione non era quella di non cedere imprese pubbliche come quelle del gruppo Iri e contorni: una “torta” stimata in 100mila miliardi di lire, circa 50 miliardi di euro al cambio del 1997. Era quella di farlo bene, con operazioni di swap fra debito e pubblico e pacchetti azionari, senza svendere e senza cannibalizzare. Sul Britannia c’erano i banchieri di Goldman Sachs, che fu poi nominata advisor del nostro governo per le privatizzazioni. Nel caos politico-finanziario-giudiziario che allora si scatenò finirono nel frullatore delle svendite in saldo quasi tutte le società del gruppo Ferruzzi-Montedison: quelle nel settore delle biotecnologie alimentari e inoltre l’Eridania e la Begin Say (le maggiori imprese europee dello zucchero), la Fondiaria assicurazioni, la Farmitalia Carlo Erba (la maggiore società farmaceutica italiana).

La storia si ripete, nel quadro della destabilizzazione politica italiana. L’amministratore delegato di Goldman Sachs asset management O’Neill, ha trovato entusiasmante il successo di Beppe Grillo nelle elezioni politiche, mercé il particolare fascino “di massa” del Movimento 5 stelle. Ciò, dice il grande banchiere, potrebbe essere l’inizio di qualcosa di nuovo, per dare slancio all’economia italiana. Dunque Grillo piace alla maggior banca d’affari del mondo, che si augura che abbia un crescente successo. È scarsamente credibile che questo superbanchiere pensi che un movimento politico che simpatizza per una mite decrescita economica (e infatti ha nel programma di abrogare il treno ad alta velocità Torino-Lione, di bloccare i termovalorizzatori, di andare in bicicletta anziché in auto e di dare a tutti i cittadini un “reddito di cittadinanza”) rappresenti una novità capace di far crescere l’economia italiana. A Goldman Sachs asset management non interessa che l’Italia abbia sensazionali cambiamenti in meglio, ma interessa fare lucrose operazioni in Italia e usa i leader come un taxi. Così ha usato Monti per le operazioni Cassa depositi e prestiti, poi l’ha scaricato perché troppo legato ai tedeschi. Ora punta sul caos che si può creare presso di noi, per fare altri acquisti. Beppe Grillo è lo strumento ideale per tale caos, che consentirà anche di speculare sul nostro debito e relativi spread.

Goldman Sachs sino a novembre dello scorso anno ha sponsorizzato Mario Monti, in precedenza suo autorevole consulente, che l’ha beneficiata facendola advisor del governo italiano per la cessione di Fintecna (ciò che era rimasto allo Stato del gruppo Iri) alla Cassa depositi e prestiti. Goldman Sachs, che ora ama Grillo, però non ringraziò Monti, per la lucrosa e curiosa operazione di vendita di un bene dello Stato alla Cassa depositi e prestiti che è in maggioranza dello Stato, ma per una grossa quota appartiene a grandi banche italiane. Infatti in cambio di questa “cortesia” Goldman vendette il portafoglio di titoli del debito pubblico italiano, liberandosi di 2,5 miliardi che utilizzò altrove. Adesso c’è un grande piatto di società quotate in Borsa che vanno giù e ci sono imprese private e pubbliche in crisi. Avere il movimento di piazza di Grillo che destabilizza è una felice occasione.

Nel gotha della finanza non c’è solo Goldman Sachs che si compiace del successo di Grillo. Ci sono anche nomi come JP Morgan e Rockefeller. Basta un’occhiata nella rete, che Grillo attualmente tanto ama, per rendersene conto: l’intreccio fra politica e affari tramite banche è un connotato evidente della Casaleggio e associati che gestisce le iniziative di Grillo. Del resto ci si può domandare chi abbia finanziato i suoi costosissimi raduni elettorali: un altro quesito che in rete si pone. George Soros, che ha un grande centro di studi economici orientato a sinistra, ha studiato a fondo il Movimento 5 stelle, perché si prepara a speculare al ribasso sull’euro. Marx ha scritto che la storia si ripete sempre due volte, la prima si presenta come tragedia, la seconda come farsa. La prima volta furono le “mani pulite” di Di Pietro, la seconda sono le “5 stelle” di Grillo. Ma l’Italia non può reggere una nuova cannibalizzazione del suo apparato di grandi imprese.

Francesco Forte
Professore emerito dell’Università La Sapienza di Roma.
Già ministro della Repubblica. Collabora con Il Foglio e Il Giornale

(articolo tratto dall’ultimo numero della rivista Formiche)



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