Enrico Letta scioglie la riserva e s’appresta a presentare i suoi ministri. Sarà un governo con il sapore amaro dell’emergenza e il gusto stantio di un’altra transizione?
Il rischio c’è e lo stesso Enrico Letta ha messo le mani avantifacendo fibrillare Giorgio Napolitano. Perché se è vero che il dirty job, il lavoro sporco, lo ha già fatto Mario Monti, al nuovo governo toccherà comunque spargere spine non petali di rosa, sul cammino degli italiani.
I conti pubblici non sono ancora in sicurezza e intanto occorre allentare un po’ i cordoni, trovare i quattrini per la cassa integrazione, sistemare il pasticcio degli esodati, garantire i 40 miliardi di crediti alle imprese (bisogna avere i soldi nel cassetto e varare ben trenta decreti attuativi), discutere la legge di bilancio per il prossimo anno. E soprattutto giocare una partita ad alto rischio in Europa.
“Letta è una specie di tecnocrate, ma in realtà è un politico”, ha cinguettato Hugo Dixon. E ha ragione. E’ questa la percezione internazionale della scelta fatta da Napolitano il quale è stato indotto a mollare Amato per alcune considerazioni di fondo. La prima è l’età (Amato ha 76 anni). Anche se il Wall Street Journal ha salutato con soddisfazione la saggezza dell’Italia senior, l’idea di una gerontocrazia avrebbe appesantito il giudizio (e il pregiudizio) su un paese che non riesce a rinnovarsi. Ma non è solo una questione generazionale.
La scelta di Napolitano ha anche altri vantaggi per così dire esterni. Letta è uno che sa parlare con Angela Merkel, ma anche con Barack Obama. E il secondo è l’interlocutore più importante. Washington ha fatto un tifo da stadio per il secondo mandato a Napolitano: ne ha parlato l’ambasciatore Thorne ad aprile anche in colloqui riservati, ma già si era capito fin da febbraio in quella che sembrava l’ultima visita di stato a Washington.
Gli Stati Uniti hanno detto urbi et orbi che considerano l’Italia un partner in qualche modo speciale, un messaggio che è arrivato dritto dritto fino a Berlino. Il collasso dell’Italia schiacciata dai propri errori, ma anche dalla Panzer-Division teutonica (altro che austerità, ormai sarebbe meglio chiamarla deflazione), è un rischio che l’America non si può permettere.
Letta ha competenza nella politica europea (fin dai tempi dei suoi studi pisani) e nella politica economica che oggi sono strettamente intrecciate. Una delle prime cose dette dal presidente del Consiglio incaricato ai giornalisti che lo attendevano nel salone del Quirinale, è stata la necessità di combinare il rigore dei conti pubblici con un impulso alla crescita da negoziare anche a Bruxelles.
Wolfgang Schauble si è accorto che Letta fa sul serio e ha messo subito le mani avanti. Lo scontro sarà duro. E’ vero che l’austerità ha fatto il suo tempo a Bruxelles, ma non a Berlino. E Frau Merkel lo ha detto chiaro e tondo invitando addirittura la Bce ad alzare i tassi d’interesse e a ritirare parte della liquidità spesa per sostenere il sistema bancario, l’Italia, la Spagna e i Paesi in difficoltà.
Per valutare meglio tutti questi aspetti bisogna attendere che vengano fuori la composizione del gabinetto e la maggioranza sulla quale può contare. Perché un governicchio non può sopravvivere, tanto meno sarà in grado di proporre alcunché in sede europea. Il parto non è facile e il cammino sarà ancor più accidentato. Conta molto uno sforzo di audacia e determinazione, per esempio scegliendo un governo snello, pieno di figure competenti, soprattutto nei ministeri chiave (economia, esteri, riforme istituzionali), capaci di combinare gli interessi di parte con l’interesse generale e di segnare una novità con il passato. Per questo, meglio volti nuovi, sia pur esperti; tecnocrati e politici insieme, proprio come lo stesso Letta.
Il ricambio è possibile, bisogna volerlo.
Stefano Cingolani
curatore del blog www.cingolo.it