Non è più la settimana d’oro, quella dei grandi affari per il turismo cinese, perché i giorni di vacanza per la festa dei lavoratori sono stati soltanto tre. Ma di metallo giallo se n’è visto e venduto molto in questi giorni oltre la Muraglia.
Complice la discesa dei prezzi. Una corsa all’oro che ha però bloccato i piani speculativi dei compratori di tutto il mondo. A mandare tutto all’aria sono stati i compratori reali.
Il South China Morning Post identifica anzi un soggetto preciso: le madri cinesi desiderose di dare un ricca dote alle figlie. Il prezzo è ai minimi da trent’anni, 1,32 dollari l’oncia, in calo del 9,1 per cento da aprile. Secondo gli operatori del settore interpellati dal quotidiano di Hong Kong, l’obiettivo degli speculatori era portarlo sotto la soglia degli 1,3 dollari. Obiettivo fallito. Ma non sono state soltanto le madri cinesi.
I resoconti di questi giorni parlano di 300 tonnellate di oro venduto nelle ultime due settimane, per un totale di 100 miliardi di yuan (circa 16 miliardi di dollari) capaci di tenere il prezzo attorno agli 1,46 dollari l’oncia.
Il China Daily riferisce di migliaia di compratori, in gran parte turisti del continente, che hanno preso d’assalto i negozi di Hong Kong. Un fenomeno tale da spingere il quotidiano taiwanese China Post a scrivere un pezzo per chiarire che a differenza che nell’ex colonia britannica gli affari per i venditori di oro sull’isola sono stati nella norma.
Certo la maggior parte dei turisti cinesi a Taiwan, ricordano i tour operator citati dal giornale, arrivano in gruppo e i programmi del tour rendono più difficile andare nelle gioiellerie. Inoltre rispetto a un anno fa c’è stato un calo del 10 per cento delle presenza.
Su Forbes Gordon Chang ha sottolineato come l’estasi per l’oro non sia una prerogativa cinese. La corsa ad acquistare il metallo giallo ha riguardato anche l’India, primo importatore al mondo, e il Giappone, dove i cittadini sono preoccupati per l’inflazione.
Nella Cina continentale scrive Chang si è sfruttato il prezzo basso, ma anche quando c’è stato un rialzo si è continuato a comprare. Merito dell’indice dei prezzi al consumo che a marzo ha fatto registrare un più 2,1 per cento rispetto all’anno precedente, contro il 3,2 di febbraio.
A questo corrisponde tuttavia anche un indice dei prezzi alla produzione calante ed essendo l’economia cinese ancora basata sul manifatturiero questo è un segno di deflazione, scrive Chang. Un calo dovuto alla debolezza dei prezzi delle commodity che a loro volta tuttavia soffrono i rallentamenti dell’economia cinese.
Il calo del prezzo dell’ora il 15 aprile è coinciso anche con i dati sul Pil cinese in crescita dello 7,7 per cento, meno del previsto 8 per cento. E forse, conclude Chang, proprio le preoccupazioni per l’economia sono alla base della caccia all’oro.