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Cosa pensava Giulio Andreotti dell’amore

Articolo pubblicato sul numero 41 di Formiche (ottobre 2009) 

Tra i lavori ai quali mi sono dedicato, assume un ruolo importante la lettura dei documenti pontifici per partecipare al volume Le encicliche sociali dei Papi coordinato da Igino Giordani. Si evince una netta linea di continuità nella preoccupazione di salvaguardare appunto la socialità. La massima del “guai al solo” non può apparire in contraddizione con l’elogio della solitudine definita “sola beatitudo”.

Del resto il cristianesimo nasce nella collegialità del Collegio degli Apostoli entro il quale, però, vi è anche la figura del traditore (Giuda).  L’ultimo documento papale si intitola efficacemente Caritas in veritate. Le encicliche non sono soltanto testi di cultura e di meditazione ma rappresentano un preciso indirizzo di vita. Gesù ha detto che lo riconosceremo nell’amore degli uomini stessi; purtroppo è un’esperienza rara e contrastata e non a caso l’amore disinteressato è definito come attributo della divinità.

Dio stesso è definito amore (Deus caritas est) in una sintesi di rara e toccante efficacia in cui vi è il riassunto di tutta la teologia cristiana impostata sull’amore. Lungo i secoli, invece, il rapporto tra gli uomini si è sempre meno ispirato alla comprensione reciproca e alle convergenze e purtroppo pesano fortemente i contrasti e le divisioni. A una concezione superficiale dei rapporti che vede nel contrasto la regola di vita dobbiamo sostituire la coscienza del Dio-Amore che riassume efficacemente tutto il Nuovo Testamento.

L’umanesimo cristiano è certamente agli antipodi della realtà conflittuale che contrassegna la filosofia dell’homo homini lupus, e che purtroppo ancora caratterizza molto gli uomini. Amore e morte. Dal Calvario Gesù insegna.


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