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In Pakistan i raid con i droni sono illegali

I raid con i droni sul Pakistan sono illegali. A stabilirlo è stata una sentenza dell’Alta corte di Peshawar che ha dato ordine al governo di Islamabad di “usare tutta la forza necessaria” per porre fine ai bombardamenti statunitensi con gli aerei comandati in remoto nelle regioni tribali del Paese.

Il caso era stato presentato dalla Foundation for Fundamental Rights in rappresentanza di Noor Khan, il cui padre fu ucciso assieme ad altri civili in un raid che colpì una riunione di anziani il 17 marzo 2011.

Secondo i dati del Bureau for investigative journalism, dal 2004 al 2013 sono stati tra i 2.500 e i 3.500 i morti negli attacchi gestiti dalla Cia. Di questi si stima che tra i 411 e gli 884 siano civili.

La sentenza del giudice Dost Muhammad Khan ha parlato di “crimini di guerra” ed “evidenti violazioni dei diritti umani”. Inoltre ha esortato il governo a portare la vicenda in sede di Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e a rompere le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti nell’eventualità di un veto che blocchi la risoluzione.

La decisione è arrivata ieri, quando mancavano appena due giorni alle elezioni dell’11 maggio. Il prossimo governo dovrà decidere se dare seguito alle decisioni della Corte, che ha ordinato anche risarcimenti per le vittime e le famiglie, oppure presentare appello alla Corte suprema.

L’uso dei velivoli comandati in remoto e gli omicidi mirati sono l’arma regina della strategia anti-terrorismo statunitense in Pakistan, così come nello Yemen, in Afghanistan, in Somalia. E lo sono diventati in particolare sotto l’amministrazione Obama.

Gli apologeti di questa controversa strategia sostengono che gli attacchi con i droni siano più precisi e limitino le cosiddette morti collaterali, ossia gli omicidi di civili. La legittimità sul piano del diritto internazionale di questa strategia è al centro di un’inchiesta delle Nazioni Unite.

Come nel caso pachistano, i bombardamenti avvengono in un Paese non ufficialmente teatro di guerra. Inoltre il governo di Islamabad continua a negare di aver dato il proprio via libera ad attacchi che di fatto rappresentano una violazione della propria sovranità, sebbene il mese scorso, in una intervista alla Cnn, l’ex presidente e capo dell’esercito Pervez Musharraf ammise che in qualche occasione, poche, l’autorizzazione fu concessa.

Dal canto suo l’ex primo ministro Nawaz Sharif, favorito nel voto di sabato alla guida della Pakistan Muslim League-N, si è impegnato a non tollerare mai più bombardamenti con droni che rappresentano “una minaccia all’autonomia e all’indipendenza del Paese”. Lo stesso ex premier, in un’intervista alla Bbc, non ha escluso che il Pakistan possa tirarsi indietro dalla guerra contro il terrorismo, facendo presagire ulteriori problemi per la sicurezza dopo il ritiro delle truppe internazionali dall’Afghanistan il prossimo anno.

Come ha ricordato Dawood Ahmed sull’AfPak Channel di Foreing Policy, proprio la mancanza di volontà o l’incapacità pachistana a combattere i gruppi militanti che trovano rifugio nel proprio territorio e usata dagli Usa come giustificazione per l’uso dei droni. Ma la minaccia qaedista o dei gruppi armati rischia di essere un appiglio legale controverso.


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