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Appello per un nuovo Trattato europeo

1. Lo stato dell’Unione Europea. L’Europa ha fornito al mondo le basi culturali, artistiche ed economiche  della convivenza civile e in questa circostanza storica ha il dovere di recuperarle anche per se stessa. Per raggiungere questo risultato, l’unificazione politica perseguita nel dopoguerra resta la via maestra, ma si è coscienti che esistono ostacoli culturali apparentemente insormontabili al suo raggiungimento, soprattutto se si intende superarli ponendo regole di natura economica sempre più strette tra i paesi membri. Il mercato comune ha dato importanti contributi al benessere della popolazione europea. Cessata la divisione politica in blocchi dell’Europa, ereditata dalla tragedia bellica, si è ritenuto fosse giunto il momento di fare un passo avanti con il mercato unico che, per essere tale, ha implicato la nascita della moneta unica, l’euro; questa, a sua volta, ha sollecitato l’imposizione di vincoli sempre più stringenti sulle politiche fiscali nazionali. La perdita delle sovranità nazionali in materia monetaria e le limitazioni a quella fiscale non hanno trovato compensazione nell’attivazione di strumenti equivalenti a livello europeo; né la crescita della produzione reale e dell’occupazione avuta con il mercato unico è stata tale da colmare gli effetti dei trasferimenti di sovranità. Avendo concesso ai paesi membri di optare o meno per l’euro, l’UE ha ammesso una sua prima frattura. La crisi di alcuni debiti sovrani ne ha prodotto una seconda all’interno dei 17 paesi dell’eurarea, aggravando gli ostacoli al raggiungimento dell’unificazione politica.

Nel suo complesso l’Unione Europea registra uno sviluppo economico inferiore a quello di altre aree, dagli Stati Uniti ai paesi emergenti, e una distribuzione difforme di quel poco che si è ottenuto. Sulle origini di questa perdita e degli effetti redistributivi registrati non vi è concordanza di valutazione da parte degli studiosi e delle politiche nazionali, ma nessuno nega che la realtà sia quella di una perdita di posizione dell’Europa nei confronti del resto del mondo: chi la colloca nel momento di trasformazione del mercato comune a più monete in mercato unico con unica moneta; chi, invece, nei contraccolpi della grave crisi finanziaria che ha avuto origine negli Stati Uniti; e chi, infine, trascurando le forze nazionalistiche sempre latenti nella cultura dei paesi europei, nell’inconciliabilità tra l’assenza di una volontà politica per procedere verso l’unificazione indispensabile e le politiche nascenti dai compromessi tra i diversi modi di intendere i contenuti dell’Unione Europea.

E’ nato un duplice iato: da un lato, tra obiettivi di prosperità perseguiti dai Trattati che ben rispondevano alle aspettative dei cittadini europei e la realtà che si è affermata; dall’altro, tra quest’ultima e le necessità di riformare le istituzioni e le politiche per mettere in condizione l’Europa di svolgere un ruolo adeguato nel nuovo quadro geopolitico. L’unificazione europea è giunta a uno stallo e ha bisogno di riprendere la strada dalla quale va deviando; ma ha altrettanto bisogno di riformare l’architettura istituzionale che è andata affastellando sotto la spinta di circostanze interne e internazionali. Un duplice iato che, se non eliminato, può portare alla dissoluzione del sistema europeo comunitario, facendo ripiombare l’Europa nei suoi giorni più bui.

Tenendo sopite per ora le speranze di una realizzazione salvifica dell’unificazione politica, che non si rinviene peraltro in pratica neanche a livello nazionale, questo Appello per un  nuovo Trattato Europeo intende indicare che cosa è possibile fare e, date le circostanze, se è possibile farlo.

 

2. Gli obiettivi da raggiungere. Si deve prendere atto che il governo delle influenze economiche esterne è stato affidato in prevalenza alle cure monetarie, rallentate da taluni vincoli statutari della Banca Centrale Europea o, secondo alcune interpretazioni, dalle politiche da essa seguite. Le scelte di politica fiscale sono state lasciate alle cure dei paesi membri, ponendo tuttavia vincoli al loro esercizio, per giunta crescenti all’affermarsi di condizioni di loro difficoltà; nel fare ciò sono state imposte forzature delle procedure giuridiche, creando situazioni di legittimità inaccettabili che non vanno sottaciute, ma ovviate con procedure trasparenti.

E’ stato consentito che al mercato unico partecipassero volontariamente, ma a determinate condizioni previste dal Trattato di Maastricht, solo alcuni paesi, lasciando ad altri di partecipare al mercato comune, ma restando fuori dall’euro per loro stessa volontà o perché presentano non aderenze ai parametri di ingresso previsti. Per aver voluto l’euro a ogni costo al fine di trascinare l’unificazione politica, come sostenuto apertamente dai propugnatori, si è complicata ancor più la convivenza tra i paesi membri.

Il nuovo Trattato europeo deve riconoscere che l’architettura monetaria europea è il perno attraverso il quale è possibile bloccare le forze centrifughe dall’Unione dovute alla crisi economica attuale. Ne consegue che si devono assegnare senza limitazioni alla Banca Centrale Europea tutti i poteri che sono attribuiti alle principali banche centrali fuori Europa, principalmente quelli di cui dispone la Federal Reserve americana. Ciò comporta la conferma della facoltà di finanziare le banche e il potenziamento delle facoltà di operare su titoli pubblici e di intervenire sul mercato dei cambi tenendo conto degli equilibri che si instaurano tra stabilità monetaria e stabilità reale, ossia tra inflazione e sviluppo.

Questa riforma monetaria va completata con un sistema di regolazione e di vigilanza comune dei mercati bancari e finanziari, segnatamente con sistemi comuni di assicurazione dei depositi e di recovery/resolution delle banche “sistemiche”.

L’indipendenza delle authorities monetaria e finanziaria è condizione indispensabile affinché esse restino il perno dell’evoluzione democratica verso l’unificazione politica. Il fondamento della “no taxation without representation” va inteso non solo come il modo per introdurre una correzione tecnica alle istanze di una redistribuzione dei redditi di tipo inflazionistico che Parlamenti e Governi potrebbero accogliere e che si abbattono come una “tassa occulta” sui cittadini, ma anche per evitare effetti redistributivi occulti provenienti dalla deflazione/disoccupazione e da truffe e abusi finanziari a danno dei risparmiatori.

Il nuovo Trattato deve devolvere quote di sovranità fiscale nazionale alla Commissione di Bruxelles e al Parlamento europeo (che oggi rappresenta un anomalo modello di representation without taxation), assegnando forza costituzionale ai poteri propositivi e decisionali di queste istituzioni, senza che la devoluzione abbia le stesse caratteristiche di quella della sovranità monetaria, ossia gli Stati membri mantengono un loro specifico potere tributario. Ciò comporta la definizione dell’area di sussidiarietà dell’Unione, ossia dei compiti che essa è chiamata a svolgere, con conseguente definizione autonoma di una politica di bilancio a livello europeo che non sia più sottoposta al vincolo negoziale della fissazione dell’entità e del pareggio tra contribuzione e benefici, oggi di fatto in vigore.

Questa soluzione da dare ai poteri fiscali, se ben gestita, presenta due vantaggi: da un lato libera dai vincoli nazionali le scelte collettive; dall’altro minimizza il costo di gestione delle funzioni attribuite agli organi dell’Unione, perché può beneficiare di economie di scala nel gestirla. Lo scopo di questa delega fiscale deve essere chiaramente indicato nella soluzione del problema della coesione territoriale non come riconoscimento di un diritto dei cittadini europei alla solidarietà sociale, ma come meccanismo politico indispensabile per far funzionare bene il mercato unico e l’euro rimuovendo le componenti dei suoi “dualismi” (divari strutturali di produttività) territoriali e settoriali.

Nel contesto è importante il recupero operativo della filosofia di Lisbona che si era prefissa la creazione di una “knowledge based society”, come strategia per migliorare la competizione delle merci e servizi europei e così rafforzare la spinta delle sue esportazioni e, più in generale, il benessere economico e sociale. Per raggiungere questo risultato e fornire al processo di unificazione politica un nuovo cemento oltre quello economico si deve dare vita una scuola europea, ovviamente incluso un sistema universitario omogeneo, al fine di convergere verso una base culturale comune che induca a riflettere sugli errori del lontano passato e sui successi del presente, nella speranza di attenuare gli effetti delle diversità nazionali senza distruggere i vantaggi delle rispettive tradizioni.

Come pure lo è per il futuro dell’euro la definizione di una politica monetaria internazionale volta a dare al mercato globale una nuova architettura che preveda: a) lo stesso regime di cambio per chi vuole partecipare al libero scambio secondo le regole del WTO; b) una gestione delle riserve ufficiali esistenti (e quelle che si formerebbero nel caso in cui continuasse un regime diversificato di cambi “dirty”, ossia con interventi della autorità nazionali) che passi fuori mercato, al fine di impedire le influenze negative sull’euro delle conversioni di dollari in mano pubblica; c) il passaggio a una moneta di riferimento globale degli scambi, del tipo SDR del FMI, indipendente dalle vicissitudini di una moneta nazionale, come accaduto un tempo con la sterlina inglese e, oggi, con il dollaro statunitense.

E’ anche necessario giungere alla definizione di regole comuni di base per l’uso del lavoro in Europa, da attuare in stretta collaborazione con l’ILO, l’International Labor Organization.

Occorre infine porre su basi non deflazionistiche e legittime il rispetto dell’accordo di “fiscal compact”, facendo confluire su un fondo comune europeo gli indebitamenti nazionali in eccesso al 60%, negoziando con i rispettivi paesi le condizioni del loro rimborso nel più lungo andare a tassi accettabili, ma offrendo la garanzia necessaria per la scomparsa degli “spread” sui titoli sovrani. Le spese di investimento pubblico nelle reti di infrastrutture e nel triangolo della conoscenza (istruzione, ricerca e innovazione) cofinanziate da istituzioni europee e da privati dovrebbero essere sottratte dal vincolo del pareggio, seppure con precisi limiti quantitativi rispetto al PIL.

Il completamento del disegno di azione comune deve definire operativamente l’organizzazione di due settori centrali per la collocazione geopolitica dell’Unione, come la politica estera e la difesa. A tal fine va creato un Council of foreign policy and security, composto da esperti, ma sotto la guida politica degli organi dell’Unione. Gli Stati Uniti sono stati i veri integratori dell’Europa, prima con il Piano Marshall e l’OCSE, poi con la NATO e il G7/8. Questo ruolo si è indebolito a seguito della loro gravitazione sul polo asiatico e la Trans-Pacific Partnership; poiché, però, esso resta essenziale nel processo integrativo, non vi è alternativa al rilancio del progetto di politica comune estera e di difesa dell’Unione Europea.

Per queste, come per le altre soluzioni proposte, va lasciata aperta ai paesi che non intendono aderire al nuovo Trattato, l’opzione di entrare nel novero dei paesi aderenti quando lo ritengono opportuno, senza sottoporlo al vincolo dell’unanimità dei 27 membri. E’ ovvio che chi entra nella nuova Europa deve necessariamente aderire indistintamente a tutte le istituzioni riformate e non solo a una o più tra esse, come è stato il caso dell’unione monetaria.

 

3. La possibilità di raggiungere gli obiettivi. A molti – e in numero crescente – la realizzazione di un siffatto programma appare inattuabile e tra essi vi è chi ritiene che gli accordi che legano i 27 paesi UE o, quanto meno, i 17 paesi dell’euroarea debbano cessare la loro efficacia e chi, invece, che si debba rispettarli a ogni costo. La valutazione dei firmatari di questo Appello è che si può discutere dei nuovi contenuti da dare al nuovo Trattato Europeo, ma non  che può esservi alternativa a esso. Lo ripetiamo: l’Europa ha bisogno di restare unita per contare nel mondo e fornire pace e prosperità ai suoi cittadini, ma non può farlo mantenendo l’attuale imperfetta architettura, perché entrerebbe in contraddizione con le sue stesse finalità, divenendo politicamente ingovernabile.

L’Appello è rivolto ai Partiti, invitandoli a farlo proprio. I firmatari non intendono trasformarsi in Movimento partitico, ma non precludono agli aderenti di presentarsi in una qualsiasi delle liste elettorali come portatori delle istanze qui presentate. Affinamenti tecnici dei contenuti delle diverse proposte verranno di seguito portate all’attenzione della pubblica opinione per iniziativa di singoli studiosi, enti e istituzioni, come base indispensabile per raccordare i desideri di pace e di benessere alla realtà geopolitica da affrontare.

 

Per sottoscrivere il manifesto mandare una mail a formiche.net@gmail.com

Angelo Federico Arcelli, Michele Arnese, Michele Barbato, Pier Paolo Benedetto, Carlo Andrea Bollino, Sandro Bondi, Renato Brunetta, Francesca Camilli, Pellegrino Capaldo, Stefano Cingolani, Fulvio Coltorti, Giovanni Cristini, Anna maria del Prete, Giuseppe Di Taranto, Pierluigi Gilibert, Massimo Faccioli Pintozzi, Michele Fratianni, Giorgio La Malfa, Domenico Lombardi, Giuseppe Guarino, Carlo Jean, Massimo Lo Cicero, Luigi Marsullo, Rainer Stefano Masera, Paolo Messa, Chiara Oldani, Carlo Pelanda, Alexander Privitera, Antonio Maria Rinaldi, Carlo Santini, Mario Sarcinelli, Paolo Savona, Carlo Scognamiglio Pasini, Jacopo Ricciardi, Francesco Sisci, Dino Sorgonà, Gino Paolo Sulis, Giuseppe Trippanera, Enrico Verri, Gustavo Visentini.

 


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