Il tempo delle riforme è finito, ora all’Italia servono choc. Solo così si potrà svegliare la classe dirigente, politica, sindacale e imprenditoriale, dal torpore che le impedisce di prendere atto della deindustrializzazione in corso in Italia e di reagire in modo positivo lavorando sulla riforma del sistema fiscale. E il caso di Fiat Industrial, secondo il giornalista di Panorama Marco Cobianchi, autore tra l’altro dei libri “Bluff”, “Mani Bucate” e “Nati Corrotti”, potrebbe essere quello che serve al Paese.
Gli sviluppi di Fiat Industrial
Fiat Industrial ha infatti depositato presso la Sec americana il prospetto preliminare per la quotazione a Wall Street della Fi Cbm Holdings Nv, la società olandese in cui sono destinate a fondersi Fiat Industrial e Cnh. E la holding Fi Cbm, basata in Olanda, punta a chiedere la sede fiscale in Gran Bretagna.
Il momento degli choc
“Il treno delle riforme – spiega Cobianchi in una conversazione con Formiche.net – è passato negli anni Novanta e noi non l’abbiamo preso. Siamo stati in piedi sul marciapiede guardando dentro i vagoni la Germania che ci faceva ‘ciao ciao’ con la manina. Ora è il momento degli choc e solo così, con delle svolte sistemiche, l’Italia potrà capire che non è più tempo di giocare. Ma il mio terrore riguarda la reazione a questa notizia”. Pensano di incolpare Marchionne di non avere una visione sociale. Accuse nobili, certo, ma non servono a niente”.
La tassazione italiana e il confronto europeo
Il motivo per cui Marchionne porta il domicilio fiscale a Londra? “Le tasse italiane naturalmente. Ma nessuno – sottolinea – si chiede come far scendere il livello della tassazione, non solo per impedire che le nostre imprese fuggano ma per far sì che i gruppi stranieri scelgano l’Italia per i loro investimenti. In Europa del resto non stiamo creando nuove imprese, ma le stiamo solo redistribuendo ed in effetti la parola chiave di questi anni è redistribuzione, anche riguardo al reddito e alla ricchezza”. L’Italia? “In questo meccanismo finisce spacciata. Il Total tax rate nel Paese è al 68%”. Il confronto con la media europea non regge.
Il dibattito politico fuori dalla realtà
“Nel frattempo – commenta Cobianchi – si continua a parlare di ineleggibilità di Berlusconi o di democrazia interna ai partiti senza rendersi conto della sproporzione infinita che si è creata tra quello che sta succedendo nel tessuto industriale e ciò su cui si concentra il dibattito politico”.
Fiat Industrial? Solo il primo capitolo
Ma il caso Fiat Industrial potrebbe rivelarsi solo una prima parte della migrazione del gruppo Fiat negli Usa. “Prima dell’estate Marchionne troverà l’accordo per acquistare la quota del 41,5% di Chrysler detenuta dal fondo Veba, così da raggiungere il 100% del colosso di Detroit nel 2014”. L’ipotesi dell’Ipo della nuova società, naturalmente, a Wall Street. Una fuga che “metterebbe a rischio l’intero indotto Fiat italiano. Il tema della deindustrializzazione del Paese non può più attendere. Uno choc traumatico dovrebbe far comprendere a tutti e in primis a politici, sindacati, Confindustria, ma soprattutto agli italian che il burrone è a settembre-ottobre. Il fatto è che ci stiamo andando incontro con un governo che mi sembra più debole del previsto”. Cosa intende Cobianchi per choc? “L’abolizione della cig e la sostituzione con un sussidio universale, o il taglio della burocrazia del 50% in un periodo massimo di due anni”.
I finanziamenti pubblici a Fiat
Ma, secondo il giornalista, bisogna tener presente che la risposta politica alla decisione di Fiat Industrial non può concentrarsi sui soldi pubblici diretti nel corso degli anni al Lingotto, anche se la lista dei finanziamenti statali è lunghissima, come riportato nel libro “Mani Bucate”. “Nel 2011, attraverso tre contratti di programma, sono stati stanziati 22,5 milioni per Fiat Powertrain, 18,7 alla Iveco di Foggia, e 11,2 a Sevel, la joint venture tra Fiat e il gruppo Psa, di Chieti. Nel 2010 Fiat ha ottenuto 15,8 milioni. Nel 2009 il Cipe ha stanziato 300 milioni di euro per il Ministero dello Sviluppo per sostenere anche gli stabilimenti Fiat di Pomigliano e Termini Imerese. Nel luglio 2005 Fiat ha ottenuto 81 milioni e 40,5 milioni per Sevel, e nel gennaio 2004 sono arrivati 155 milioni per Cassino, Melfi e Pomigliano, solo per citare alcuni di quelli ottenuti durante l’era Marchionne”.
La delocalizzazione dell’industria italiana
“Nel 2003 – prosegue Cobianchi – lo Stato ha pagato il più grande progetto di riqualificazione professionale d’Italia per 14mila dipendenti Fiat al costo di 38,2 milioni. Un altro finanziamento di 2,1 milioni è stato sfruttato per studiare l’utilizzo della fibra di ginestra nell’ambito motoristico. E’ stato poi pagato 4,8 milioni, il progetto Mimosa, una minicar elettrica mai vista. E 3,8 milioni sono invece stati stanziati per finanziare un veicolo a tre ruote, anche quello mai visto. In sostanza Fiat ha beneficiato di un diluvio di soldi pubblici, che ha fatto sì che l’attività di ricerca e sviluppo Fiat sia stata pagata dai contribuenti italiani. Perché spendere tanto per un gruppo che viene lasciato andare via? La risposta non può essere: ‘non se ne deve andare perché l’abbiamo mantenuta noi’ e nemmeno: ‘se ne va, quindi gli industriali sono cattivi’ ma piuttosto: ‘come fare per fermare la delocalizzazione dell’industria italiana?”, conclude Cobianchi.