No, la retorica europeistica no, per cortesia.
Però, perdinci, da un presidente come Giorgio Squinzi che è abituato a parlar chiaro anche suscitando malumori o ilarità di qualche suo collega confindustriale scafato, e dunque più diplomatico, ci si sarebbe aspettata meno retorica e più sincerità.
Anche perché Squinzi non è affatto un industrialotto chiuso nei suoi capannoni, ma proprietario e numero uno di un gruppo internazionale che conosce bene le dinamiche economiche, monetarie e finanziarie, oltre che politiche, di altri Continenti.
Per questo, oltre a decine di pagine di richieste più o meno scontate, e sempre garbate, su fisco, giustizia, competitività (la stessa solfa da anni), non sarebbe stata pleonastica un’analisi meno decorativa dell’Unione europea. Quindi del ruolo dell’euro (senza chiederne ovviamente l’uscità, per carità…) che ha avvantaggiato la Germania a scapito degli altri Paesi; della fissazione moralistica di Berlino sull’austerità; del rigore teutonico che ha contagiato la Commissione europea e che ha costretto molti Paesi, già debilitati dalla recessione, a stramazzare ulteriormente al suolo verso un incendio sociale; della Bce che a differenza di altre banche centrali ha le mani legate dall’inflazione (altra fissazione); e molto altro.
Invece, niente di tutto questo. Ma forse è giusto così. Perché altrimenti si sarebbero svelate le defaillance di vertici confindustriali del passato anche recente che parlavano rivolti all’ombelico di viale dell’Astronomia o delle proprie aziende senza alzare lo sguardo verso Berlino o Francoforte. Anzi, elogiando (cosa buona e giusta, peraltro) l’economia sociale di mercato e le relazioni industriali alla tedesca.
Quindi, con tutta probabilità, ascoltare e leggere le seguenti parole di Squinzi non doveva destare troppa sorpresa.
“Sapete quanta importanza io attribuisca alla realizzazione degli Stati Uniti d’Europa – ha detto Squinzi – Alcuni sono scettici su questa visione. L’Europa con l’euro ci ha dato la riduzione della volatilità e la stabilità della nostra economia. All’euro e all’Unione incompiuta possiamo dare molte colpe, ma non quella di aver danneggiato la nostra competitività, le cui fragilità hanno radici ben piantate nel territorio nazionale”.
“Oggi – ha aggiunto il presidente di Confindustria – è in Europa che troviamo le leve della crescita, nella sua capacità di rilancio degli investimenti, di dotarsi di una politica industriale innovativa e su base comune”.
Conclusione di Squinzi: “Bene quindi ha fatto il Presidente del Consiglio, appena insediato, a partire da Bruxelles e dalle principali capitali europee, per trovare le possibili convergenze istituzionali e le soluzioni comuni alla crisi, perché alle politiche del solo rigore seguano anche interventi che privilegino la crescita economica”.
Ah certo, il rigore…