Pubblichiamo uno stralcio dell’intervento di Giuseppe Scognamiglio che apparirà sul prossimo numero della rivista East
Dopo il discorso di qualche settimana fa del primo ministro britannico, David Cameron, sul futuro dei rapporti tra Unione Europea e Regno Unito, a Londra si sta rafforzando il sentimento anti-Ue tra i conservatori. Due figure di primo piano del governo, Michael Gove, ministro dell’Istruzione, e Philip Hammond, ministro della Difesa, si sarebbero detti favorevoli all’uscita dall’Ue se si tenesse oggi l’annunciato referendum. Della stessa opinione, anche se non ufficializzata, sembra sia anche la collega agli Interni Theresa May. La pressione in patria è arrivata a un livello tale che Cameron ha dato via libera alla presentazione, da parte dei Tories, di una bozza di proposta di legge per aprire la strada al referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea.
Se da un lato gli euroscettici del partito conservatore britannico segnano quindi un punto a loro favore, Cameron ha però ribadito che il referendum non si terrà prima del 2017, ovvero non prima di aver tentato di cambiare l’Europa dall’interno, rinegoziando i rapporti con Bruxelles. “Non si tratta solo del nostro interesse nazionale”, ha detto Cameron, “l’Europa deve cambiare e diventare più aperta, competitiva e flessibile”.
Una presa di posizione che mira a non scuotere ulteriormente l’equilibrio del governo di coalizione con i liberaldemocratci. Incontrando Cameron, la settimana scorsa, Obama ha dichiarato che è “di enorme importanza per gli interessi degli Stati Uniti che il Regno Unito continui a far parte dell’Unione Europea’‘. Le prossime settimane saranno infatti ”cruciali” per la creazione di un’area di libero commercio fra Stati Uniti e Unione Europea, che potrebbe essere annunciata al prossimo meeting del G8 in Irlanda del Nord, previsto il 17 e 18 giugno. Lo ha sottolineato ai giornalisti lo stesso Cameron, dopo il colloquio alla Casa Bianca: l’intesa commerciale USA-UE “potrebbe valere circa 10 miliardi di sterline all’anno per l’economia britannica”.
Al di là dei dati economici, la mia sensazione è che Londra perderebbe ruolo fuori dall’Unione: è già paradossale che resti fuori dall’euro, avendo tratto grandi benefici proprio dalla moneta unica, qualificandosi quale centro finanziario di riferimento. Ma addirittura perdere il treno di successive integrazioni dei mercati (Unione Bancaria prima e Fiscale poi) non deve sembrare praticabile nemmeno all’incerto Cameron: di qui l’equilibrismo di indire un referendum con un quesito secco su UK dentro o fuori dall’Unione, per tentare di riguadagnare consensi rispetto agli euroscettici dell’UKIP, da un lato; spostandolo però al 2017 (campa cavallo…), sperando segretamente che le condizioni politiche generali mutino e Mr. Farange (il leader degli euroscettici dell’Ukip) esaurisca la sua spinta propulsiva…
Giuseppe Scognamiglio è editore di East