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Gli errori di Draghi e Bruxelles sull’Unione bancaria

Nel brindare per l’uscita dalla procedura d’infrazione, pare che si siano tutti dimenticati del progetto di “unione bancaria” che pareva fosse considerato essenziale al buon stato di saluto dell’eurozona.

Un anno fa, vale la pena ricordarlo, il Presidente della Banca centrale europea (Bce) Mario Draghi ha rinvigorito le speranze degli europei affermando che l’istituto da lui presieduto avrebbe fatto tutto quanto in suo potere per “salvare l’euro”, allora considerato a rischio a ragione delle crisi in Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Cipro.

Il suo discorso, e l’annunciata creazione di un nuovo strumento, le Outright Monetary Transactions (OMTs), peraltro ancora non venuto in vita, hanno soprattutto dato impulso al negoziato per dare vita all’unione bancaria.

Trattativa impantanata?

Dell’andamento di questo negoziato trapela poco o nulla. Forse è bene che sia così data la delicatezza delle materie trattate. Ma il silenzio, e la mancanza di spifferi e cinguettii, può anche voler dire che dopo avere raggiunto qualche esito in materia di vigilanza per gli istituti di maggiori dimensioni, la trattativa si è impantanata. In effetti, è quanto meno inquietante il silenzio in vista della riunione del Consiglio Europeo programmata alla fine di questo mese di giugno. A rendere gli osservatori ancora più nervosi, è la non chiara posizione della Gran Bretagna: il Regno Unito non ha mai aderito all’unione monetaria (e nel Paese albergano scuole di pensiero che uscirebbero volentieri dalla stessa Unione Europea, Ue), ma quella di Londra è la maggiore piazza finanziaria e bancaria del Vecchio Continente. Quindi, un’unione bancaria europea senza Londra sarebbe monca.

L’ambiguità di Draghi

La settimana scorsa il Presidente della Bce, in visita a Londra, ha affermato che amerebbe vedere “una Gran Bretagna più Europea” ed “un’Europa più britannica”. Oscar Wilde avrebbe detto che si tratta di una battuta aperta a molteplici interpretazioni. Probabilmente, dati gli umori nella terra di Albione, Draghi è volutamente restato nel vago. Ha dato, però, adito a Hugo Dixon, editorialista della Reuters, di scrivere e pubblicare un malizioso commento, apparso su una catena internazionale di giornali, sull’ambiguità di frasi pronunciate da chi dovrebbe essere la “fonte della chiarezza e della trasparenza”.

Le divergenze tra Bce e BoE sulla vigilanza

Lasciamo Dixon e Draghi alle loro scaramucce. Non solo il silenzio sull’unione bancaria è assordante ma proprio in materia di vigilanza la Bank of England e la Bce sono su sentieri divergenti. Nella Bank of England la vigilanza è parte integrante della politica monetaria, mentre nella Bce c’è una vera e propria muraglia cinese tra vigilanza e politica monetaria. Ciò non dipende né da Draghi né da Mervyn King (che sarà alla guida della Bank of England sino al 30 giugno per essere sostituito da un canadese assunto dopo un concorso internazionale) ma da profonde differenze culturali-istituzionali che non possono essere liquidate né con una battuta né con un editoriale. La muraglia cinese, lo sappiamo, non impedì nessuna invasione mongolica. Può essere che la Bce evolverà verso un sistema analogo a quello della Bank of England. Ma i tempi saranno lunghi.

Prima la revisione dei trattati, poi l’unione bancaria

Più valido il nodo sollevato da Thomas Mayer della Deutsche Bank di Londra in una nota ai suoi clienti in cui chiede una “Rivoluzione Copernicana” in materia di unione bancaria. A suo avviso, il negoziato resterà al palo perché si è partiti con il piede sbagliato: trovare regole comuni per la vigilanza da affidare alla Bce. Il meccanismo di vigilanza (peraltro limitato alle banche più grandi) non sarà pronto prima della metà del 2014. La messa in atto di strumenti comuni per soccorrere banche in difficoltà (il secondo stadio nell’attuale percorso negoziale verso l’unione bancaria) richiede la revisione dei trattati sull’unione monetaria (da quello di Maastricht al Fiscal Compact) e la loro ratifica: un processo che potrebbe richiedere tempi biblici. Solo allora, si negozierebbe la garanzia comune sui depositi (o meglio l’armonizzazione dei sistemi di garanzia in vigore per darne vita ad uno comune). Sarebbe stato meglio partire da quello che ora è l’ultimo stadio, se non altro perché l’Ue ha grande esperienza di armonizzazione di sistemi in atto nei singoli Stati dell’Unione e procedere poi contemporaneamente verso gli strumenti comuni e la vigilanza. Che le idee di Mayer riescano a tirare l’unione bancaria fuori dal guado?



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