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L’export manifatturiero tiene. Ecco i settori di punta. Ma c’è un trucco?

Il motore economico italiano continua a essere rappresentato dalle Pmi e dalle imprese specializzate nel manifatturiero d’eccellenza, quelle che il mondo e i gruppi stranieri provano a sfilarci di mano approfittando del periodo nero. Ma, almeno fino al 2009, come sottolinea il Centro Studi Confindustria (Csc), il manifatturiero italiano non solo ha mantenuto la sua quota nell’export mondiale, ma ne ha accresciuto il valore aggiunto.

I punti di forza

La stima degli scambi in valore aggiunto, spiega il Csc, fornisce una mappa alternativa delle esportazioni manifatturiere mondiali tra paesi e tra settori. Chi guadagna posizioni? I Paesi in cui la produzione manifatturiera è meno frammentata e meno dipendente da input intermedi dai servizi, non solo esteri ma anche interni; i Paesi dove i costi dell’energia e delle materie prime sono più contenuti; e quelli, infine, specializzati in settori, o in fasi del processo produttivo, a più alto contenuto di valore aggiunto, in particolare quelli tecnologicamente avanzati.

Il settore oggi

Il Csc ha calcolato che la crisi ha già causato la distruzione di oltre il 15% del potenziale manifatturiero italiano, con una punta del 40% negli autoveicoli e cali di almeno un quinto in 14 settori su 22. In Germania, invece, il potenziale è salito (+2,2%), anche se con alta varianza
settoriale. In condizioni analoghe a quelle italiane versano le industrie francesi e spagnole.

Il periodo considerato

Il Csc evidenzia però che “l’attuale disponibilità dei dati si ferma al 2009”, e quindi “la stima non può dare conto dei cambiamenti avvenuti negli anni 2010-2012 nella geografia degli scambi mondiali. Rimane, quindi, da valutare l’impatto delle variazioni degli scambi lordi su quelli in valore aggiunto negli ultimi anni. Infine, il valore degli scambi tra paesi è espresso in dollari correnti e risente quindi delle variazioni del tasso di cambio della valuta americana, soprattutto rispetto all’euro, allo yuan e allo yen”.

Alla Cina la medaglia d’oro

Secondo la nuova mappa degli scambi internazionali in valore aggiunto la Cina consolida il primato nelle esportazioni mondiali di manufatti: la quota delle esportazioni cinesi su quelle totali sale, nel 2008, dal 14,8% lordo al 16,5% in valore aggiunto; nel 2009, anche grazie all’arretramento delle economie avanzate, tocca il 18,3% in valore aggiunto.

Il manifatturiero italiano tiene

Il manifatturiero italiano mantiene la propria quota di mercato, pari al 4,2% nel 2008, ma guadagna una posizione grazie alla scivolata della Francia (dal 4,7% lordo al 3,8% in valore aggiunto nel 2008). L’Italia mantiene la seconda posizione, dietro la Cina, nei settori tradizionali di punta, tessile e abbigliamento e pelli e accessori, conservando quote di mercato immutate.

L’andamento per settori

Avanza nel settore del legno (+1,6 punti), ma arretra in altri settori, tra cui: prodotti petroliferi (-1,2), materie plastiche (-1,2), lavorazione di minerali non metalliferi (-1,2), macchine e impianti (-1,1) La specializzazione italiana nei settori manifatturieri è sintetizzata dal valore degli indici di vantaggio comparato rivelato, definiti come il rapporto tra la quota delle esportazioni settoriali su quelle totali italiane e la stessa quota (settoriali su totali) riguardante le esportazioni mondiali: un valore superiore a uno segnala un vantaggio competitivo italiano, perché le esportazioni settoriali
rappresentano una quota del totale maggiore in Italia che nel resto del mondo, e viceversa.

Tra i settori in cui si concentrano maggiormente le esportazioni italiane rispetto a quelle mondiali, nel passaggio da esportazioni lorde a esportazioni in valore aggiunto, il vantaggio rimane pressoché invariato nella produzione di pelletteria e in quella tessile e si riduce nei macchinari, nella lavorazione di minerali non metalliferi e nelle materie plastiche, in linea con quanto osservato per le quote di mercato; aumenta leggermente nei prodotti in metallo e nelle altre attività manifatturiere; si trasforma in uno svantaggio negli alimentari. Al contrario, il legno diventa un settore di vantaggio comparato in termini di valore aggiunto.

Sotto la soglia unitaria, che indica una specializzazione pari alla media mondiale, perdono quota le esportazioni italiane di prodotti chimici e mezzi di trasporto, che rappresentano ora settori di chiaro svantaggio, e ancor più quelle in prodotti petroliferi. Guadagnano invece posizioni i prodotti elettrici, elettronici e ottici, come avviene anche negli altri principali paesi avanzati, ma il settore resta un’area di svantaggio del paese rispetto alla media mondiale.


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