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L’Ue rischia di finire come l’ex Jugoslavia. Le previsioni dell’economista Galbraith

Mentre la crisi ha travolto il mondo occidentale, e in Europa non accenna a diminuire, i dotti economisti che non hanno saputo prevedere e interpretare la crisi degli ultimi anni non fanno che attaccarsi gli uni con gli altri, fornendo tutto tranne che teorie e riprendendo, distorcendole, quelle del passato. Di questo passo, l’Europa rischia di finire come l’ex Jugoslavia.

Le tesi e le previsioni sono dell’economista statunitense James Kenneth Galbraith che le ha espresse ieri in un convegno sul rapporto tra capitalismo finanziario e democrazia organizzato da Assopopolari e dal Centro Studi Federico Caffè.

“Siamo bloccati in un’impasse intellettuale – ha spiegato Galbraith -. Il collasso della finanza mondiale risale a 6 anni fa, nell’agosto del 2007 con lo scoppio della crisi dei mutui subprime negli Usa. La Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, l’opera più importante dell’economista inglese John Maynard Keynes, è del 1936, sei anni dopo la Grande Depressione che partì da Wall Street. Opere di spessore simile oggi in circolazione non esistono, e non sono neanche in via di pubblicazione”.

I punti condivisi da teorici dell’austerità e falsi keynesiani

Secondo Galbraith, autore tra l’altro del saggio “The Predator State”, i teorici dell’austerity e i nuovi keynesiani hanno in realtà in comune molto più di quello che sembra. Se il focus e il male assoluto secondo i primi è lo Stato e il suo overspending, quello dei secondi è la bolla speculativa, “una metafora che non è una vera e propria teoria. Per uscire dalla crisi, che entrambe le scuole di pensiero considerano un’interruzione di un percorso, gli austeri si basano sulla ripresa della fiducia degli operatori di mercato. Una convinzione che non può essere assimilata ad una impostazione teorica. Lo stimolo statale tanto invocato dai nuovi keynesiani, d’altra parte, è un espediente solo temporaneo, che ha lo stesso effetto di un’iniezione di caffeina o di cocaina in un corpo malato. Può renderlo più vigoroso, certo, ma solo momentaneamente. Keynes non avrebbe azzardato una semplificazione teorica eccessiva come quella sostenuta dai suoi seguaci, che per questo possono essere considerati dei falsi keynesiani. Non solo contemplano e accettano il concetto che lo stimolo sia solo temporaneo, ma anche quello, del tutto antikeynesiano, del tasso di disoccupazione naturale”.

La riduzione del perimetro del Welfare State: quando?

Entrambe le teorie, quella dell’austerità e del neokeynesianesimo, sono “deludenti, e finiscono per accusarsi l’una con l’altra. Ma, in realtà, entrambe accettano in sostanza l’idea del consolidamento fiscale, entrambe sono d’accordo sul fatto che il welfare state dovrà essere ridotto. La differenza d’impostazione sta solo nel quando”.

Una fase durata almeno 40 anni

E la crisi che ha colpito le economie avanzate negli ultimi anni nasce dal nulla? La bolla del 2000 in realtà, secondo l’economista, ha rappresentato solo il breakdown, “il collasso di un sistema già danneggiato, e che ha reso evidente il problema del costo delle risorse, un aspetto che non è più ignorabile. La fase 1975-2000, in sostanza, è stata solo di preparazione al grande boom”.

La gestione della crisi in Usa e Ue

Le differenze forti però sono state nella gestione della crisi tra Stati Uniti ed Unione europea. “Le istituzioni del Vecchio Continente non sono state pronte a reagire, mentre grazie allo Stato federale, con una storia e dei poteri diversi da quelli di Bruxelles, in Usa l’avvio di un sistema efficace di ammortizzatori sociali contro la disoccupazione è stato molto rapido”. D’altra parte, secondo Galbraith, “la crisi americana, basata sull’esplosione del sistema creditizio a causa dell’uso eccessivo di cartolarizzazioni, è stata riassorbita. Il mortgage debt, il debito derivante dai mutui, è esploso, certo, ma è riducibile per sua stessa natura nel tempo. Il problema del debito statale che attanaglia l’Europa, dove l’austerity è così radicata, invece è perpetuo. E’ per queste ragioni che mentre negli Usa si profila una ripresa, le condizioni europee continuano a peggiorare”.

I passi da fare nell’Eurozona

“Soluzione o dissoluzione?”, si è chiesto Galbraith, secondo cui “o si rinegoziano le condizioni o l’alternativa è uscire dall’Eurozona. Per stabilizzare la situazione è necessario procedere con la mutualizzazione del debito, con un piano forte di investimenti della Bei (la Banca europea degli investimenti), e con un’unione bancaria, partendo però dal fornire ai disoccupati un reddito stabile”.

Ipotesi Jugoslavia per l’Ue?

O si negozia una divisione dell’Eurozona in due macroaree, “con un euro a due velocità, o non resta che guardare all’esperienza, vicina, dell’Ex Jugoslavia. Quello che serve, urgentemente, è un cambio di rotta delle politiche europee per mantenere in vita l’Unione e riportarla su un sentiero buono per la popolazione”, ha concluso l’economista.



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