Leva monetaria, sgravi fiscali, liberalizzazioni. La casa che vuole costruire il premier Shinzo Abe per il Giappone si basa su questi tre pilastri. La Banca del Giappone, del resto, è al suo servizio. Adesso, il problema principale sarà convincere il Paese, storicamente tra i più corporativi. Gli analisti che cominciano a diffidare seriamente dalla valanga monetaria che rischia di travolgere l’Asia e non solo, verranno dopo. Il bazooka regolatorio di Abe è infatti pronto a sparare, e lui le critiche spera di stroncarle così, con i numeri. Diversamente da quello monetario che ci si immagina domani non verrà usato dal governatore della Bce Mario Draghi.
Fare di Tokyo una delle piazze finanziarie più forti
“E’ tempo per il Giappone di diventare di nuovo il motore della ripresa internazionale”, ha dichiarato il premier conservatore, ribadendo che “la vitalità del settore privato è il motore dell’Abenomics”, il soprannome attribuito alla politica economica di Abe, che va ad aggiungersi alla leva monetaria e agli stimoli fiscali.
L’attrattività dei capitali
“La deregulation è il cuore delle strategie di crescita”, ha insistito Abe, che vuole fare del Giappone il polo di attrazione delle imprese di mezzo mondo, come Londra e New York. “La nostra ambizione non è di giocare al pari degli altri, ma di essere al top, di creare l’ambiente migliore per gli affari delle imprese”, ha insistito. Non a caso, l’indice Nikkei si è gonfiato del 41% circa dall’inizio dell’anno.
Il piano sulla deregulation
Gli obiettivi di Abe, che si dice sicuro del fatto che le sue politiche aumenteranno il prodotto interno lordo pro-capite del 40% in un decennio, in linea tutto sommato con la previsione governativa di una crescita del 3% annua? Liberalizzare la vendita di elettricità, triplicare in dieci anni il numero di partenariati pubblico-privati, aumentare gli investimenti diretti in Giappone, portare le università giapponesi fra le prime cento del mondo, autorizzare la vendita di medicinali via internet. L’ambito medico-sanitario, spiega il Financial Times, è infatti un’area in cui, secondo gli economisti, il Giappone ha una bassa produttività, considerato il suo livello di sviluppo, le sue capacità tecnologiche e la sua società caratterizzata da un’alta anzianità. La spesa sulla sanità come percentuale del prodotto totale è al di sotto della media Ocse.
Abegennon?
Ma le campane non suonano solo a festa. E non c’è da considerare solo la delusione dei mercati, con Tokyo che oggi ha segnato un calo del 3,8%. Se non riuscirà effettivamente a innescare un sensibile rilancio della crescita, la strategia del premier rischia di far precipitare il Giappone nella “stagflazione”, ha avvertito il capo della divisione investimenti di Ubs, Alex Friedman. Uno scenario di elevata inflazione e assenza di crescita economica. “Se non c’è crescita si rischia di finire con una specie di Armageddon, un Abegeddon”, ha detto a Cnbc. Che finirebbe per innescare una vera a propria fuga dai titoli di Stato.
I rischi e la tempistica
Il debito pubblico del Giappone rischierebbe allora di superare la soglia astronomica del 300 per cento del Pil, secondo l’economista di Ubs, e i rendimenti dei suoi bond decennali schizzerebbero dallo 0,86 per cento attuale a oltre il 5 per cento. “Questo danneggerebbe gravemente il sistema finanziario – ha aggiunto Friedman – e il capitale delle banche locali ne sarebbe duramente colpito”. Ad ogni modo il pericolo non è immediato: secondo l’economista la Banca del Giappone può contenere eventuali problemi in questa fase con misure di stabilizzazione. Ci vorranno anni, ha concluso Friedman, per avere un verdetto sulla strategia di Abe.