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Negli Usa la ripresa economica si chiama shale gas

Competitività e ripresa economica, grazie all’energia a basso costo. E nel futuro una nuova fase ‘’a lungo termine’’ di crescita economica, paragonabile a quella degli anni ’50-’60. In questo modo – scrive il Wall street journal nell’edizione on-line – gli Stati Uniti stanno uscendo dalla crisi. Molto lo si deve alla piena espansione del settore energetico nazionale, ed in particolare alla ‘scoperta’ dello shale gas, il prodotto intrappolato nelle rocce che ha cambiato i paradigmi del settore energetico americano.
Il cambiamento di prospettiva è arrivato in fretta: in 10 anni lo shale gas è passato dall’occupare una porzione del 2% sulla produzione totale di gas naturale statunitense al 40%. Questo, nonostante inizialmente si sia scontrato con gli effetti ‘ambientali’ che derivano dalla sua estrazione (in sostanza si tratta di ‘spezzare’ le rocce, il cosidetto ‘fracking’).

Le conseguenze economiche
Negli ultimi due anni sono state riconosciute però le conseguenze economiche dello shale gas, e in particolare ne è stata valorizzata la risposta data contro la disoccupazione grazie alla creazione di numerosi posti di lavoro, in un momento di crisi lavorativa. Poi, non di poca importanza l’impulso offerto alla ripresa della produzione negli Stati Uniti grazie all’abbondante disponibilità di energia a basso costo. E, di qui, il passo è breve verso una maggiore competitività delle imprese.

Il pensiero di Charles Morris
Questo scenario, di forte crescita economia degli Stati Uniti, è il cuore del pensiero di Charles Morris nel libro ‘Comeback: America’s New Economic Boom’: secondo Morris l’America è ‘’sulla soglia di un boom economico a lungo termine e di dominanza industriale, uno che potrebbe esser paragonato a quello dell’epoca 1950-1960’’. Alla base di questa ‘inaspettata’ crescita c’è ‘’l’aumento della produttività americana’’ e la ‘’ristrutturazione industriale’’. Gli Stati Uniti sarebbero infatti diventati uno dei luoghi di produzioni tra i più ambiti al mondo, soprattutto le aree della Virginia, del Tennessee, della Georgia, del nord e sud Carolina e dell’Alabama. Gli Stati Uniti stanno sempre più diventando un luogo di creazione e produzione per le industrie internazionali, che così non devono aggiungere i costi di trasporto a quelli di produzione, ma che si trovano anche più vicine ai mercati europei. E per esempio è così che i produttori di auto giapponesi ora costruiscono automobili negli Stati Uniti pronte per l’esportazione verso l’Europa; e anche la Siemens fa lo stesso per la produzione di turbine destinate all’Arabia Saudita.

L’x factor
Il vero e proprio turbo per l’economia americana, spiega Morris, è quello che lui stesso definisce ‘x factor’, e cioè lo shale gas; l’energia a basso costo che da sola offre insieme un vantaggio e una grande opportunità all’industria americana e può essere il pilastro della ripresa americana. Parlando soltanto degli effetti sull’occupazione si scopre che lo shale gas ha prodotto 1,7 milioni di posti di lavoro a partire dal 2008, e che potrebbe arrivare ad impiegarne 4 milioni entro il 2020.

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