Era il 3 giugno 1963 quando, poco prima delle ore 20, moriva Giovanni XXIII. Terminava così un pontificato che, nelle intenzioni dei cardinali che avevano eletto al Soglio di Pietro l’allora patriarca di Venezia, avrebbe dovuto essere di transizione. Ma colui che è passato alla storia come il “Papa buono” ha invece modificato profondamente la Chiesa del tempo, lasciando sino ad oggi un segno indelebile, ben riconoscibile nel Concilio Vaticano II. Di lui Papa Francesco, in occasione delle celebrazioni per il cinquantesimo anniversario della sua scomparsa, ha detto: “custodite il suo spirito, imitate la sua santità, approfondite lo studio della sua vita”. Formiche.net ricorda la figura del beato Giovanni XXIII in una conversazione con il pronipote Marco Roncalli, storico e saggista, che ha dedicato a Papa Roncalli due importanti opere, quali “Giovanni XXIII. Angelo Giuseppe Roncalli. Una vita nella storia” (Ed. Lindau) e “A.G.Roncalli e G.B.Montini – Lettere di fede e di amicizia” (Ed. Studium).
Il 3 giugno 1963 moriva Papa Giovanni XXIII. Ricorre, quindi, in questi giorni il cinquantesimo anniversario della sua scomparsa. Quale, oggi, l’attualità del suo pensiero?
Il messaggio di Papa Giovanni XXIII è sempre attuale. E’ attuale, in particolare, l’immagine di una Chiesa che deve essere misericordiosa; è attuale l’invito ad impegnarsi nel dialogo, nel cammino ecumenico tra i cristiani; è attuale l’invito ad un profondo rinnovamento della Chiesa, alla pace ed alla giustizia. Mi sembra inoltre che abbia mantenuto tutto il suo vigore il leit motiv del cammino di un Papa che diceva “la mia persona conta niente, è un fratello che vi parla, un fratello divenuto padre per volontà del Signore”. Sono proprio queste le parole che Giovanni XXIII utilizzava per parlare di sé e che hanno mantenuto tutta la loro attualità. Ma non è una questione di buonismo, sentimentalismo e retorica, anche se a lungo Giovanni XXIII è stato presentato solo con l’etichetta riduttiva di “Papa buono”, capace tutt’al più di mandare carezze ai bambini.
In questi giorni ricorre anche il cinquantesimo anniversario di quella che forse è stata la sua enciclica più importante, ovvero la “Pacem in terris”. Un recente convegno, dedicato a questo tema, aveva come titolo: “Pacem in terris: ottimismo razionale o visione profetica”. Lei cosa risponderebbe?
Direi, se me lo consente, un po’ tutte e due le cose! Con una buona dose di intuizioni, che se crede possiamo definire pure profetiche, la Pacem in terris è proprio l’enciclica che ha attraversato, come in filigrana, il primo messaggio Urbi et Orbi di Papa Francesco. Ora, da quel documento, nato di fatto dopo l’appello papale risolutivo durante la crisi di Cuba (e finalmente ci sono anche le carte a provare quanto affermato), ci separa mezzo secolo. Un cinquantennio nel quale tante cose sono cambiate, nuove tipologie di guerre sono comparse all’orizzonte. Tuttavia, ritengo che possiamo trovare in quell’enciclica qualcosa di importante ancora oggi: l’idea, in particolare, che ogni guerra sia qualcosa di alienum a ratione, la distinzione tra l’errore e l’errante (con quest’ultimo che è sempre, ed anzitutto, un essere umano e conserva la sua dignità di persona), il riconoscimento dei diritti umani, non solo quelli della persona. Resta oggi, quindi, un’enciclica che, non a caso, Giorgio La Pira definì come “un manifesto del nuovo mondo” e che ha rappresentato, secondo monsignor Loris Capovilla (segretario di Giovanni XXIII, ndr), “l’estremo servizio e l’estrema testimonianza di un padre che si rivolge alla famiglia umana, invitando tutti gli uomini a riconoscersi figli di Dio”. E’ quindi, senza dubbio, un’enciclica ancora valida e, direi, profetica, che precorre la globalizzazione.
Papa Giovanni XXIII sarà sempre ricordato per essere stato il “Papa del Concilio”. Un Concilio, però, portato a termine dal suo successore, Paolo VI. Ritiene che Papa Montini abbia portato a compimento l’opera iniziata da Giovanni XXIII rispettando quelle che erano le sue intenzioni iniziali?
Roncalli e Montini erano legati da una stima reciproca ed un’amicizia discreta, come ho recentemente documentato con la pubblicazione del loro carteggio. Paolo VI è stato improvvisamente chiamato a portare a compimento il Concilio Vaticano II e lo ha fatto in piena sintonia con le intenzioni del suo predecessore assumendosi, però, le decisioni richieste dall’evoluzione della dinamica conciliare e rispondendo alle questioni nuove sollevate nel corso dei lavori. In Paolo VI, quindi, vi è continuità con Papa Giovanni ma, al contempo, vi è anche la novità di dover concludere qualcosa da lui non iniziato. Condivido, quindi, quanto detto da monsignor Maffeisha nel corso di un convegno dedicato alla figura di Giovanni XXIII: “L’azione di Paolo VI si pone nel segno di un’intenzionale continuità con l’eredità raccolta da Giovanni XXIII e, insieme, risponde all’esigenza di una più precisa determinazione del progetto conciliare per poterlo portare a compimento”. E condivido anche quanto affermato dal padre gesuita Giacomo Martina, secondo il quale Paolo VI non è stato né colui che ha affievolito l’ispirazione iniziale roncalliana, né l’autore di un salvataggio provvidenziale di un’assemblea che rischiava di naufragare.
Papa Giovanni XXIII ha mostrato grande attenzione, anche prima di salire al Soglio di Pietro, per il mondo operaio e per la questione sociale. In quale modo ha mostrato questa sensibilità?
Credo che per rispondere a questa domanda sia sufficiente riportare brevemente quanto scrisse nel 1909 sostenendo lo sciopero di Ranica insieme al suo vescovo: “La pace è la missione del sacerdote. Ma la pace è la tranquillità dell’ordine e ordine vuol dire rispetto della giustizia e dei diritti di ciascuno. Noi siamo tutt’altro che amici di qualunque sciopero, ci auguriamo che questo sia l’ultimo, perché lo sciopero è la guerra, e la guerra è sempre terribile e dannosa. Ma quando non ci fosse altro mezzo per ricondurre la pace e fosse apertamente violata la giustizia, rivendichiamo il nostro diritto di dire la verità a tutti, di chiamare giusta e santa la guerra, legittimo lo sciopero, e di aiutare chi combatte per ricomporre quell’ordine sociale di cui si avvantaggiano insieme il capitale ed il lavoro”. Ecco, trovo che in queste parole pronunciate da un giovane Roncalli vi sia tutto il suo pensiero e la sua vicinanza alle questioni sociali.
Quale era il legame tra Papa Roncalli e la sua terra d’origine in provincia di Bergamo?
Tra Giovanni XXIII ed il suo paese natale, Sotto il Monte, vi era un legame molto forte. Direi quasi un attaccamento inspiegabile al paese natale, ai luoghi delle prime finestre sul mondo ed anche ad una certa geografia spirituale. Un legame molto forte anche con la famiglia, allentato un po’ solo dopo la sua salita al Soglio di Pietro, quando affermò che “la famiglia del Papa era il mondo”. Un legame nel quale io intravedo una certa riconoscenza verso le sue radici povere, verso i genitori, verso il suo primo parroco.
Quali somiglianze vede tra Papa Giovanni XXIII e Papa Francesco?
Innanzitutto mi lasci dire che l’udienza di Papa Bergoglio di qualche giorno fa con la diocesi di Bergamo è un grande segno di attenzione e un omaggio alla terra che ha dato i natali al beato Giovanni XXIII. Non vi è alcun dubbio che vi siano diverse analogie tra Roncalli e Papa Francesco. Si vedano, infatti, certi accenti sul primato petrino quale servizio, l’opzione preferenziale per i poveri, la misericordia. Un po’ come ai tempi di Giovanni XXIII si vede oggi una Chiesa più ottimista e più vicina a tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Sono tanti ad avere accostato Papa Francesco a Giovanni XXIII. Il cardinale Bagnasco, ad esempio, ha dichiarato di vedere in Francesco “lo stile, la semplicità, la bontà, ma anche la capacità di governo di Giovanni XXIII” mentre l’africano Robert Sarah ha definito Papa Francesco come una “figura buona come il pontefice Angelo Giuseppe Roncalli”. E’ ovvio che vi siano anche alcune differenze, essendo molto diversi i percorsi biografici e i contesti da loro attraversati. E questo non tanto nelle radici quanto piuttosto nella formazione e nelle differenti esperienze. Ad ogni modo vorrei precisare che il vero banco di prova del paragone tra Francesco e Giovanni XXIII (che era terziario francescano e prima del Concilio andò a pregare sulla tomba di San Francesco), si vedrà tutto nell’esercizio del governo del neovescovo di Roma. A riguardo, Giovanni XXIII si era imposto il suo programma con queste parole: “Lasciar fare, dar da fare e far fare”.
Un’ultima domanda. E’ vero quanto recentemente affermato da monsignor Capovilla secondo il quale Papa Giovanni XXIII avrebbe chiesto di essere sepolto a San Giovanni in Laterano? Per quale motivo?
Certamente. E non si tratta solo di una testimonianza orale, dal momento che sono stato io stesso a darne conto sul Corriere della Sera pubblicando il documento che esprimeva tale desiderio. Papa Giovanni XXIII, infatti, immaginò che le sue spoglie potessero riposare per sempre in Laterano, presso l’arcibasilica che è madre di tutte le Chiese di Roma e del mondo. L’abbozzo di un documento autografo del 1962 non lascia alcun dubbio. Dopo aver dato il proprio consenso ad essere sepolto nelle grotte vaticane, Papa Roncalli ha aggiunto: “esprimo il desiderio, e la fervida preghiera, che, quando riesca felicemente il progetto della trasformazione del Palazzo Lateranense in sede del Vicariato di Roma, le mie povere ossa vengano pietosamente trasferite dalla cripta di San Pietro alla cappella interno dello stesso Vicariato”. Oggi, a distanza di cinquant’anni, Papa Roncalli riposa nella basilica di San Pietro ed è bene che le sue spoglia non vengano mosse, nonostante il pensiero da me citato. Il desiderio di Giovanni XXIII, però, rimane oggi a dimostrare il grande amore del Papa per il Laterano, in quanto sede da lui voluta del Vicariato, ed esprime una valenza simbolica espressa dalla suggestione di questo “ritorno” là dove c’era stata la residenza ufficiale dei sommi pontefici sino al trasferimento ad Avignone e, successivamente, in Vaticano. Una diversa residenza che corrispondeva anche ad una diversa visione ecclesiologica.