La dura lezione della legge Fornero, a quanto pare, non è bastata ai nostri politici. Almeno secondo Michele Tiraboschi, il coordinatore del comitato scientifico di Adapt, l’associazione fondata da Marco Biagi nel 2000 per promuovere studi e ricerche nell’ambito delle relazioni industriali e di lavoro. Tiraboschi, allievo di Marco Biagi, spiega come anche un ministro “preparato e prudente come Enrico Giovannini si appresta a varare con urgenza un pacchetto di misure sul lavoro di cui si sa già l’impatto negativo o comunque, nella migliore delle ipotesi, nullo sul mercato del lavoro”.
L’inutilità delle misure del ministro Giovannini
Secondo Tiraboschi infatti, “non è esercizio così complesso anticipare già oggi l’inutilità, e dunque il probabile fallimento, delle misure in corso di predisposizione da parte del governo. Così sarà, in particolare, per provvedimenti come la staffetta generazionale perché incentrata sulla idea, sbagliata a livello economico e devastante a livello sociale, che per dar lavoro ai giovani sia necessario toglierlo agli anziani. Per non parlare poi dell’ambizioso progetto europeo della c.d. Youth Garantee, fatto ora proprio dal governo, che, per funzionare, necessita di ingenti risorse pubbliche, oggi non disponibili, e di una efficiente rete di servizi pubblici al lavoro di cui il nostro Paese non ha mai potuto beneficiare”.
La regola di Pippo
Tiraboschi dice di condividere la regola formulata dal giornalista Beppe Severgnini per porre fine al problema dei finti tirocini. La soluzione starebbe nella regola di Pippo, un acronimo formato dalle iniziali di cinque suggerimenti. “Perché, per quanto affermi ora la legge Fornero, lavorare gratis si può, ma devono ricorrere queste condizioni: Per scelta, Investimento reciproco, Persone serie, Patti chiari, Occasionalmente. Una regola che, “a ben vedere, sarebbe pure facilmente traducibile in una agile normativa di regolazione dei tirocini formativi contribuendo a risolvere una delle principali criticità del nostro Paese nei tormentati percorsi di transizione dalla scuola al lavoro”.
“Per scelta”, osserva Tiraboschi, significa che si può anche accettare un tirocinio gratuito, “ma che occorrono poi sedi deputate a controllare la genuina volontà del giovane. “Investimento reciproco”? L’esperienza di tirocinio non può risolversi in una semplice attività lavorativa. Il giovane va orientato e formato attraverso la presenza di un tutor aziendale e di un preciso percorso di apprendimento certificabile ex post da sedi abilitate a verificare le competenze maturate. Specifici provvedimenti regionali (visto che la materia è di competenza delle Regioni) potrebbero invece riconoscere incentivi di stabilizzazione quando il tirocinio è di mero orientamento o inserimento al lavoro.
“Persone serie” significa, ancora una volta, che l’attivazione del tirocinio non può essere affidata a soggetti che non abbiano competenze e titoli per un corretto utilizzo del giovane e per un controllo di quanto avviene nello svolgimento del progetto formativo. A livello normativo si potrebbe ipotizzare un controllo annuale delle Regioni sui promotori dei tirocini. Per “Patti chiari” si intende che le attività dello stagista, anche nelle ipotesi del tirocinio di mero inserimento, vanno dettagliatamente previste e chiarite nel piano formativo allegato alla convenzione di tirocinio. “Occasionalmente” significa, infine, che il tirocinio deve avere una durata breve e, possibilmente, essere collocato nella fase della transizione dalla scuola o università al lavoro.
Un patto normativo
Evitare i tanti abusi senza penalizzare uno strumento importante per la formazione dei giovani, e anche oneroso per le imprese se correttamente utilizzato, è possibile. Non a colpi di divieti e sanzioni, ma semplicemente attivando e responsabilizzando gli intermediari e i protagonisti di questo “patto formativo”. Perché il tirocinio non è buono o cattivo in sé, tutto dipende dall’utilizzo che concretamente se ne fa.