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Il Nord, oltre la Lega

I risultati delle elezioni amministrative dello scorso fine settimana restituiscono due chiari risultati: la progressiva disaffezione nei confronti della politica da parte degli Italiani che si manifesta tramite la crescita dell’astensionismo che, più che il passaggio ad una democrazia matura di stampo statunitense, è simbolica di come l’autoreferenzialismo dei partiti impatti sullo stesso senso di appartenenza ad una comunità, che trova il suo momento di massima sintesi nell’esercizio del diritto di elettorato attivo; e la progressiva marginalizzazione della Lega Nord anche in quelle che sono le sue storiche roccaforti.

Dove va il Carroccio

La parabola della Lega Nord nasce, si sviluppa e si avvia verso la conclusione sovrapponendosi simmetricamente con la storia della Seconda Repubblica. I primi successi elettorali della Lega datano alle elezioni politiche del 1992, in piena tempesta Tangentopoli, quando la Lega, cavalcando l’ondata di sdegno popolare per le vicende giudiziarie che da lì a poco avrebbero abbattuto il sistema di partiti esistente in Italia a partire dal 1948, ottenne sorprendentemente 55 deputati e 25 senatori. Proseguita la crescita con l’alleanza con Berlusconi, la Lega riuscì a mantenere la propria indipendenza e la propria capacità di raccogliere consenso elettorale caratterizzandosi come soggetto rappresentativo della questione settentrionale, vale a dire la tutela degli interessi della parte del Paese che non riusciva a riconoscersi né in quello che sarebbe diventato il Pdl che, dopo la breve fase costituente e liberale di Forza Italia (interrotta dallo storico ribaltone del 1994 che, a posteriori, può essere letto come mossa di Bossi per non essere cannibalizzato da Berlusconi), più che rappresentare gli interessi di chi quotidianamente si confronta con il mercato, ha preferito tutelare quelli di chi si difende dallo stesso tramite le proprie rendite di posizione, né tantomeno nel Pd.

La romanizzazione del Carroccio

Il punto è che in questi 20 anni la Lega ha vissuto una progressiva romanizzazione, confluita negli scandali che lo scorso anno ne hanno travolto il cd cerchio magico, creando ed allargando la forbice tra le priorità della dirigenza del movimento politico fondato nel 1989 da Umberto Bossi e i problemi quotidiani dei propri elettori, schiacciati tra crisi finanziaria, perdita di competitività del Paese ed incapacità della Politica di proporre riforme volte a frenare il declino economico del Nord Italia, un tempo una delle aree caratterizzate dal maggiore livello di vitalità economica ed imprenditoriale in Europa ed oggi colpito da un impoverimento osservabile non solo per mezzo delle statistiche ma tramite la quotidianità.

Il vuoto al Nord

Si apre a questo punto un enorme vuoto politico. Se da un lato il dato anagrafico di Silvio Berlusconi e l’assenza di una leadership capace di gestire il passaggio generazionale rende improbabile un ritorno all’esperimento liberale di Forza Italia e dall’altro il Pd mantiene la propria focalizzazione sulla tutela degli interessi dei paladini dello status quo (intesi come triade sindacato/grande imprenditoria/finanza politicizzata), mentre il Movimento 5 Stelle è incapace di qualsiasi proposta che vada al di fuori della mera protesta e Scelta Civica ormai rappresenta solo una stagione di vuoto tecnicismo lontana dalla quotidianità dei problemi della parte più produttiva del Paese e pertanto incapace di scaldare cuori e suscitare passioni, è evidente che nessun soggetto politico tra quelli oggi in Parlamento si dimostra in grado di dialogare con un Nord sempre più confuso e smarrito e colpito dalla crisi più che proporzionalmente rispetto al resto del Paese.

Cosa chiedono gli elettori del Nord

È questo vuoto che deve essere riempito da chi basa la propria idea di politica su mercato e merito. Gli elettori del Nord non hanno bisogno di qualcuno che proponga anacronistiche proposte di indipendentismo, in una fase storica di cui gli Stati per avere un minimo di voce a livello internazionale devono avere dimensioni continentali (come Usa, Russia, Cina, Brasile ed India) ma di una seria rappresentanza politica che proponga riforme in grado di liberare le energie imprenditoriali che, nonostante tutto, ancora esistono nelle regioni del Nord.

I temi non differibili

Chi, come il sottoscritto, ha occasione di dialogare quotidianamente con gli imprenditori che hanno creato con le loro idee ed il loro lavoro la parabola di successo dei territori affacciati sul Po, percepisce come la riforma della Pubblica amministrazione tramite l’introduzione di meccanismi di mercato nella foresta pietrificata dei palazzi dell’amministrazione, la liberalizzazione dei servizi, la diminuzione del carico burocratico e fiscale e il sostegno all’imprenditoria tramite la rimozione dei vincoli creati per tutelare le tante rendite di posizione di questo Paese siano considerati temi non più differibili da parte di chiunque voglia rappresentare il Nord.

Chi saprà affrontarli, proponendo soluzioni tangibili all’elettorato del Nord, ne conquisterà il consenso necessario per riformare il Paese. Lo spazio politico esiste, ora bisogna solo riempirlo.


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