In questi dieci anni di governo, Recep Tayyip Erdoğan ha commesso un grande errore: credendosi il più credibile leader conservatore ha trascurato le richieste dei liberali e di una parte (giovane) della sinistra, aumentando lo scontro e la polarizzazione nella società turca, come ha spiega Valeria Gianotta in un articolo pubblicato sul sito del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (Cipmo).
La Turchia in Europa
Oggi, di fronte alle manifestazioni contro il governo e gli scontri con la polizia (che hanno provocato dure critiche da parte dell’Unione europea e l’amministrazione di Barack Obama) il primo ministro cerca di accelerare l’ingresso della Turchia in Europa per ottenere un punto decisivo a suo vantaggio.
Qualche mese fa, come ricorda il quotidiano turco Hürriyet, Erdogan aveva difeso l’inclusione del suo paese nell’Ue, sottolineando i benefici per entrambi le parti. Ma allo stesso tempo aveva denunciato il cambio delle regole “a partita ormai cominciata”. “Il nostro obiettivo è l’integrazione come membro con pieni diritti. Non possiamo accettare un’altra opzione”, aveva detto il premier turco. Erdogan aveva anche criticato diversi leader europei che stanno “inventando nuove condizioni” per ostacolare l’ingresso della Turchia.
A favore degli imprenditori
In questi dieci anni di governo, Erdogan ha riportato la Turchia alla prosperità economica. Il paese è entrato a fare parte dei Mist (Messico, Indonesia, Corea del Sud e Turchia), il nuovo acronimo ideato da Jim O’Neill di Goldman Sachs dopo la sigla dei Brics.
Oltre alla stabilità di cui (fino ad ora) aveva goduto nonostante le guerre dei suoi vicini di casa, l’economia turca è riuscita ad arrivare a una crescita annua del 5% del Pil. I cittadini hanno triplicato la capacità di acquisto, vedendo obiettivamente sfumarsi alcune differenze socio-economiche, e le risorse a disposizione hanno stimolato l’aumento della produzione, le iniziative imprenditoriali e lo sviluppo in diversi settori.
Contro i media (laici)
“Twitter è peggio di un’auto-bomba”, ha detto il portavoce del partito di Erdogan, Ali Sahin, confermando la presentazione di un progetto di legge che limiterebbe i social network in Turchia. La battaglia di Erdogan contro i media, soprattutto stranieri, si è allargata alla Rete.
Il premier ha detto che i media internazionali non sono ben informati e in maniera sistematica stanno contribuendo ad aumentare le proteste. Ma nell’ambito interno le accuse sono dirette ad una persona in particolare: Aydin Dogan, uno dei più noti imprenditori turchi, proprietario di buona parte dei media del paese. Il suo volto fa parte del dibattito politico turco ed è stato indebolito da presunte irregolarità fiscali.
Colpi alle Forze armate ribelli
Infine, come ricorda oggi sul Corriere della sera Antonio Ferrari, editorialista ed esperto di Medio Oriente, un’altra strategia di Erdogan si basa sullo screditare una parte delle Forze armate accusata di complicità con il presunto piano Ergenekon, “un supposto colpo di stato per abbattere il governo dell’Akp”.
Secondo il quotidiano Haber negli ultimi anni Erdogan ha dato diversi colpi alla cupola militare turca. Il più noto è la decisione di sollevare dall’incarico tre ufficiali di alto rango accusati di fare parte, appunto, del piano “Ergenekon”, un’organizzazione ultranazionalista composta da militari e attivisti laici, ma sostenuti anche da politici, intellettuali e personaggi mediatici che cercano di far cadere Erdogan.
Piazza Taksim non è piazza Tahrir. La lotta non è per il pane, ma per i diritti e la difesa della propria libertà. Ma anche se Erdogan molto probabilmente riuscirà a superare le proteste, dopo le reazioni di queste due settimane ha svelato un lato autoritario che né i turchi né la comunità internazionale potranno facilmente dimenticare.