Ted Nordhaus e Michael Shellenbgerger non sono certo nuovi alle provocazioni. Il loro “Break Through”, pamphlet contro i vizi del vecchio ambientalismo catastrofista del 2007, è stato salutato come uno dei documenti politici più importanti del nuovo secolo americano. Un secolo caratterizzato da un’insperata abbondanza energetica che contraddice in pieno le profezie di sventura e penuria su cui è fondato il mantra eco-terzomondista dalla crisi petrolifera del ’73 in poi.
Picconate post-ambientaliste
I due se la prendono in particolar modo con la nuova tendenza “sofisticata” dei progressisti a sospettare di tutto ciò che è centralizzato: il sistema energetico e il governo in particolar modo. Citano il filone di studi della sinistra accademica americana, che ha criticato il modello di industrializzazione energetica del New Deal e la stessa Tennessee Valley Authority, considerata per lungo tempo un esempio di intervento politico di stampo quasi socialistico. Ma la novità è che se fino agli anni Ottanta erano appunto i conservatori libertari a farne un feticcio polemico, al volgere del secolo sono stati i progressisti americani ad unirsi al fronte anti-statalista. In nome, spesso, di un “anarco-primitivismo” che promuove nelle piccole reti e nei cicli energetico-ambientali locali la soluzione più sostenibile per l’ambiente.
Con due risultati paradossali: questa “sinistra ecologica” finisce con il preferire allo Stato accentratore banche e utilities private. E poi, il modello di sviluppo arcadico è vivamente consigliato a Paesi in forte crescita come Cina, India e Brasile. I quali, per fortuna, ringraziano ma rimandano al mittente questi consigli interessati.
La decrescita (in)felice
La nuova sinistra ecologista, ben rappresentata da Naomi Klein, non solo è contro l’abbondanza energetica come motore di sviluppo, ma è a favore di un modello idillico, a bassa intensità energetica, una sorta di ritorno alla natura e all’economia rurale che, di fronte alle esigenze di crescita dell’ex Terzo Mondo, appare come un insulto. O, sostengono Nordhaus & Schellenberger, un pretesto dietro cui mantenere relazioni squilibrate tra Nord e Sud del mondo. Nel momento in cui questo infatti emerge con prepotenza, l’invito alla decrescita e alla cosiddetta giustizia climatica è solo un “neo-maltusianesimo” che vuole impedire ai nuovi venuti del mercato mondiale di accedere alle risorse cui hanno diritto come chi li ha preceduti in Occidente.
Eurocentrismo “fuori tempo massimo”
Infine, il punto potrebbe essere proprio di una geopolitica ambientale, ma rovesciata rispetto ai programmi della sinistra tradizionale. Con l’incarico, cioè, non di promuovere la giustizia e la perequazione mondiale, ma di conservare gli attuali divari nell’accesso alle risorse. Secondo Nordhaus e Shellenberger non è certo da una narrazione pauperistica e ruralista che potrà venire la soluzione ai problemi di 1,2 miliardi di persone che non hanno ancora accesso all’elettricità… E così l’idea che questa generazione dei Baby Boomers, della X Generation e dei Millennials abbia una missione paragonabile, se non più difficile, di quella degli antenati che sconfissero fascismi e comunismi è affascinante, ma ha bisogno, per sostenersi, di una continua narrazione apocalittica. Soltanto immaginandosi come “salvatrice del pianeta” dalle sue dinamiche economiche ed ecologiche (e in particolare, dalla fastidiosa tendenza dei Paesi del Sud a colmare il gap con il Nord), la vecchia Europa e le sue propaggini americane possono infatti contare ancora come ai bei tempi andati.