Il tema della tutela dell’ambiente è diventato una delle principali cause di malcontento e protesta dei cinesi. Umori che non si conciliano con la necessità di tutelare l’armonia e progredire verso il “sogno cinese” della dirigenza.
Il piano per ridurre l’inquinamento annunciato venerdì dal Consiglio di Stato, il potere esecutivo della Repubblica popolare, è stato definito dalla Deutsche Bank AG come il “più aggressivo” messo sul tavolo da Pechino per porre un freno alle emissioni. Un decalogo in 10 punti con l’obiettivo di ridurre le emissioni per punto di Pil del 30 per cento entro il 2017.
Le decisioni del governo ricalcano alcune delle misure prese in fase sperimentale da municipalità come Pechino e Shanghai e non ancora applicate a livello nazionale.
“L’inquinamento è un problema visibile che affligge ricchi e poveri e che rischia di minare la stabilità sociale”, scrive il China Daily, quotidiano in inglese controllato dal governo come praticamente tutta la stampa in Cina.
La memoria torna alla scorso gennaio alle immagini di città come Pechino avvolte in una coltre nera di smog, quando la percentuale di polveri sottili nell’aria superò di trenta volta i limiti fissati dall’Organizzazione mondiale della sanità. Più controlli pertanto sulle industrie pesanti e ad alto consumo energetico, tasse più alte per le industrie inquinanti e migliori controlli sulla qualità dell’aria.
Lo scorso febbraio il ministero per l’Ambiente aveva annunciato i sei settori dell’industria che avrebbero dovuto adattarsi a standard di emissione “speciali”, comprese le fonderie, i produttori di cemento e gli impianti petrolchimici. Come ricorda il quotidiano britannico Independent, Pechino ha affidato le responsabilità per il controllo della qualità dell’aria ai governi locali. Nell’ennesimo terreno in cui gli interessi del centro e quelli della periferia rischiano di collidere.