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Borse, che cosa sta succedendo sui mercati

15.000 punti. Wall Street ammaina la bandiera e si lecca le ferite. Il Dow Jones da record sembra già una storia vecchia, quando l’economia non carburava e la Fed statunitense era costretta ad ingrassare gli ingranaggi a suon di dollari, 85 miliardi al mese. Ma la verità fa male, quando lo canta Caterina Caselli, e spacca il cuore ancora di più se a dirlo è il governatore Ben Bernanke.

Ora che il Pil riprende a correre, e l’obiettivo di rispingere il tasso di disoccupazione al 6,5% sembra più vicino, l’epoca d’oro delle spese folli con i soldi degli altri finisce così. Bernanke aveva creato operatori d’acciaio con un genoma immune al rischio. Peccato fosse solo un film, e buttato l’usbergo che li proteggeva dai rischi, comincia il corri corri per abbandonare il campo di battaglia. Da Wall Street a Shangai.

Il crollo degli indici Usa

Quello di ieri è stato il secondo e più pesante ribasso consecutivo a Wall Street. In chiusura l’indice Dow Jones ha ceduto infatti 352,03 punti pari al 2,33%, precipitando a quota 14.760,16. Male anche il tecnologico Nasdaq, sceso a quota 3.364,64 dopo aver perso a sua volta 78,57 punti pari al 2,28%. Il tonfo peggiore è stato però quello fatto segnare dallo Standard&Poor’s500, crollato di 40,58 punti pari al 2,49% per attestarsi infine a quota 1.588,35: si tratta del peggiore calo in un’unica seduta registrato dal novembre 2011.

Le reazioni delle borse asiatiche

Anche sulle borse asiatiche ha dominato il segno rosso, con l’eccezione di Tokyo (+1,66%), rimbalzata grazie all’indebolimento dello yen. Il vaccino del premier Abe qui funziona ancora. Scendono di oltre il 4% i tassi overnight in Cina anche grazie alle indiscrezioni che danno la banca centrale cinese di nuovo disponibile a fornire liquidità alle banche. Deboli Hong Kong e Sydney (-0,4%), male Seul (-1,5%).

Il deflusso dei capitali

Secondo alcuni analisti molti investitori hanno deciso semplicemente di uscire dalle varie posizioni, e si tengono liquidi per darsi il tempo di capire come stia mutando il quadro. Ed ecco avviarsi un gigantesco deflusso di fondi da quell’area per rientrare sull’economia a stesse strisce. “Ci attendiamo altre tornate di correzioni sui mercati dell’Asia”, rileva Benoit Anne, analista di Soc Gen. “Siamo posizionati sulla difensiva”.

L’indice Pmi Markit per il Dragone

A giugno l’attività delle imprese ha segnato un indebolimento, accentuando una dinamica di contrazione già in atto e finendo ai minimi da nove mesi a questa parte. Questo il quadro tracciato dal Purchasing managers index, elaborato sul Dragone dalla società di ricerche Markit Economics assieme alla banca anglo asiatica Hsbc: l’indice è calato a 48,3 punti, dai 49,2 punti di giugno. Come per altre indagini analoghe, i 50 punti rappresentano la soglia tra crescita e contrazione dell’attività. Sul solo e gigantesco settore manifatturiero cinese, l’indice Pmi ha segnato un calo a 48,8 punti dai 50,7 di maggio, finendo ai minimi da otto mesi a questa parte.

La stretta della Bank of China

Il tutto dopo che da settimane si moltiplicano i segnali di frenata della crescita e di restrizione della dinamica del credito in Cina, sulla scia della scelta delle autorità di cercare di limitare i rischi di bolle finanziarie e surriscaldamento dell’economia.

I beni rifugio che rifugio non sono

Il fuggi fuggi non ha risparmiato un bene rifugio tradizionale come l’oro, che anzi come il petrolio e tutte le materie prime ha risentito anche dei rafforzamenti segnati dal dollaro sul mercato dei cambi, nella prospettiva di politiche della Fed meno accomodanti. I titoli di Stato Usa restano infatti, nel medio termine, la cassaforte più sicura.

Le quotazioni di queste merci tendono ad aggiustarsi rapidamente a seguito delle variazioni dei cambi del dollaro, e per l’oro questo ieri ha significato una caduta di quasi 80 dollari l’oncia, quasi un meno 6% con cui le quotazioni, già calate nelle passate sedute, sono ora ai minimi da due anni e mezzo, rompendo al ribasso la soglia dei 1.300 dollari l’oncia. Stessa direzione per i prezzi petroliferi: il barile di Brent è caduto di oltre 3 dollari a quota 102,72 dollari, il West Texas intermediate ha ceduto a sua volta oltre tre dollari finendo poco sopra quota 95.

Come in una strada intasata dal traffico, gli investitori stanno bloccando le uscite di emergenza del mercato obbligazionario statunitense. Non importa se la Fed del governatore Ben Bernanke ha ribadito che il rallentamento del piano di acquisti di titoli mensili da 85 miliardi di dollari è legato al miglioramento dell’economia. Gli investitori in treasury hanno captato solo un messaggio: i tassi d’interesse stanno cambiando rotta, ed è tempo di vendere.

Le domande degli investitori

Come sottolinea il Financial Times, la domanda delle domande per gli investitori che cercano di ripararsi dai rischi è quanto ancora i tassi dei titoli, che si muovono in direzione contraria al loro prezzo, continueranno a salire, dopo mesi di perdite per i titoli a tassi invariati?

Il paradosso del rischio

I bassi tassi d’interesse sui bond, grazie alla politica aggressiva della Fed, hanno reso i portafogli titoli molto esposti, anche rispetto a variazioni minime dei tassi. Il miraggio di un Quantitative Easing (Qe) infinito, ha incoraggiato gli investitori ad andare a caccia di forti guadagni sui titoli societari e sugli stock ad alto rischio, rendendo questi settori ancora più vulnerabili. Tutti erano pronti a comprare credendo di aver buon fiuto e vendere, nella peggiore delle condizioni, comunque prima degli altri. Ma anche i broker, a volte, sbagliano.


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