“Solidarietà e sostegno alle manifestazioni, quando pacifiche, che hanno portato per le strade la gente di tutte le età, soprattutto i giovani”. L’attesa all’interno della popolazione brasiliana per quanto avrebbe detto la locale Conferenza episcopale (CNBB) – presieduta dal cardinale Raymundo Damasceno Assis, vescovo di Aparecida – in merito alle proteste che stanno dilagando in tutto il Brasile, era cresciuta di ora in ora.
Poi, in linea con le parole pronunciate venerdì da Papa Francesco di essere “pastori vicini alla gente”, i vescovi hanno preso posizione in favore di chi protesta e chiede maggiore trasparenza, lotta alla corruzione e controlli nella gestione del potere, richiamando tuttavia il messaggio di pace che deve sostenere una più ampia giustizia sociale.
Se le manifestazioni segnano perciò, sempre secondo i vescovi brasiliani, “il risveglio di una nuova coscienza nazionale”, che non può rimanere inascoltata, altrettanto netto è il “no a qualsiasi tipo di violenza”, che venga tanto da parte dei manifestanti quanto delle autorità. Le quali, lascia intendere il presidente Dilma Rousseff, lanciando un “patto per i mondiali”, che prevede riforme in cambio di stabilità, non mancheranno di usare il pugno di ferro, qualora dovesse essere necessario per placare le contestazioni. Ma non sarà possibile, dice infine la CNBB con una presa di posizione che marca una ulteriore distanza dal governo, ignorare “il grido del popolo”.
E, tuttavia, l’andare incontro agli emarginati e ai giovani che soffrono per la mancanza di stabilità e lavoro, come chiede Papa Francesco dall’inizio del suo pontificato, si mescola con il ruolo che la Chiesa brasiliana ricopre e l’esigenza di equilibrio che essa deve garantire in una società fatta ancora di forti disuguaglianze sociali. Sia perché il Brasile è il più popoloso paese cattolico del quadrante latinoamericano, con circa 145 milioni di fedeli, nonostante la perdita di posizioni negli ultimi anni a favore delle sette evangeliche e pentecostali; sia perché in queste ore i vescovi potrebbero essere convocati dal presidente Dilma Rousseff, con la quale i rapporti sono tesi fin dall’inizio del suo mandato, soprattutto per le sue posizioni “abortiste”, a un tavolo di lavoro con le parti sociali per discutere della situazione; sia, infine, perché quanto sta accadendo in contemporanea con lo svolgimento della Confederations Cup, che anticipa i mondiali di calcio del 2014, secondo alti esponenti dello stesso governo, come il segretario alla presidenza Gilberto Carvalho, potrebbe addirittura mettere a rischio la partecipazione di Papa Francesco alla prossima e attesissima Giornata Mondiale della Gioventù (23-29 luglio 2013).
Eventualità, quest’ultima, che – in assenza, al momento, di dichiarazioni ufficiali da parte della Santa Sede – sembrerebbe comunque scongiurata dalle parole dell’arcivescovo di Rio de Janeiro Orani Joao Tempesta, secondo il quale la sicurezza alla Gmg di luglio sarà ampiamente garantita. Francesco è al suo primo viaggio internazionale, fissato proprio in occasione dell’appuntamento annuale più sentito da parte dei giovani (la Giornata Mondiale della Gioventù si tenne la prima volta nel 1985 per volontà di Giovanni Paolo II) e nel paese di quel cardinale Odilo Pedro Scherer, arcivescovo di San Paolo, che, secondo alcune ricostruzioni, sarebbe stato uno degli antagonisti all’ascesa dell’argentino Bergoglio sul soglio di Pietro.
Papa Francesco, assicurano al di là delle Mura vaticane, ha un grande desiderio di incontrare i giovani, che non più tardi di due mesi fa, in occasione della Domenica delle Palme, aveva esortato con forza: “non fatevi rubare la speranza”. C’è da scommettere, quindi, che farà di tutto per non deludere chi lo aspetta e per rimarcare proprio di fronte al capo di stato brasiliano l’attenzione della Chiesa verso quelle periferie, fisiche ed esistenziali, che sono già parte del suo magistero petrino.