C’è un equivoco e una domanda latente sulla questione delle nomine nelle società partecipate dal Tesoro dopo le regole enunciate ieri con un comunicato del Mef, che ha recepito la mozione parlamentare bipartisan di cui Formiche.net ha ampiamente parlato.
L’equivoco
Veniamo all’equivoco. Quando ci si riferisce a rinvii a giudizio, condanne di primo grado e patteggiamenti, dovrebbe essere relativamente alle ragioni di giusta causa per rescindere il contratto con l’eventuale componente del Cda ma non dovrebbe avere valore retroattivo. Il fatto che molti anni fa un importante manager (come Paolo Scaroni alla testa di Eni, da giorni menzionato a tale proposito sui giornali) abbia patteggiato una pena non lo escluderebbe dall’essere nominabile mentre se intervenisse un rinvio a giudizio mentre è a capo di una azienda allora il Mef potrebbe/dovrebbe chiederne la testa.
La domanda latente
E veniamo alla domanda latente. Sono stati individuati tre autorevoli componenti del comitato nomine (il presidente del Comitato sarà il professor Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale, che sarà affiancato dal dottor Vincenzo Desario, a lungo direttore generale e ora direttore generale onorario della Banca d’Italia, e dalla professoressa Maria Teresa Salvemini, Consigliere del Cnel, già professore ordinario di politica economica e finanziaria all’Università di Roma “La Sapienza”) e due società di head hunter (Spencer Stuart Italia e Korn Ferry Intl., spicca la esclusione di Egon). Se ci atteniamo alla retorica della trasparenza, chi ha scelto chi e in base a quale criterio? I cantori della glasnost perenne non si sono però chiesti: era stato fatto un bando pubblico? È possibile sapere chi ha partecipato e con quale cv? Ovviamente sono state scelte discrezionali, e anche apprezzabili. Nulla però che abbia a che fare con l’ipocrito cantico della trasparenza al quale è opportuno che il governo non voglia più partecipare per evitare di dare nuova linfa al populismo strisciante per non dire imperante.