Qualche linea di febbre causata da un comune raffreddore si può combattere con un analgesico. Immediatamente i sintomi della malattia si attenuano e si riprendono, sebbene ancora malati, le normali attività quotidiane, magari dopo aver riposato meglio alla notte. Il problema sorge allorquando si confondono i sintomi di una patologia ben più grave con il banale malanno citato, oppure si tende a sottovalutarne i possibili peggioramenti proprio perché l’aspirina ne attenua la sintomatologia.
L’ Italia era da tempo un paese malato. La febbre di cui soffriva, che è il primo segnale di una malattia in corso, è stata trascurata ed oggi è sempre più alta. Che fosse un organismo gracile, quindi a grande rischio infezioni, lo dicevano i dati della sua economia negli ultimi decenni. Ulteriormente debilitata da dosi massicce di morfina somministrata nel corso di quegli anni sotto forma di debito pubblico ed aumento della spesa, quando è stata chiamata a combattere l’epidemia conseguente ai virus finanziari sparsisi nel mondo dal 2008, si è ritrovata moribonda: oggi ha un fisico che rischia davvero di soccombere.
Al suo capezzale sono stati chiamati dal popolo molti medici, a volte purtroppo alcuni si sono dimostrati presunti tali. Il penultimo primario, quello imposto dall’austero ospedale europeo, ha somministrato una terapia a base di antibiotici in dosi da cavallo, impostata sul rigore e sull’aumento dell’imposizione fiscale. Peccato però che l’economia del Paese non era un purosangue da corsa, ma un cavallo da soma piuttosto sfiancato e la cura imposta l’ha poi stremata.
Il nuovo primario nominato dal recente consesso di colleghi con percorsi accademici di scuole opposte, tra i quali peraltro ci sono molti neo laureati a loro insaputa, ha introdotto ieri la sua nuova terapia. Ci saremmo aspettati un coraggioso intervento chirurgico che estirpasse le cellule malate dell’organismo, propedeutico ad eliminare così la causa del male all’origine, non un pavido provvedimento amministrativo che assume i connotati di un tampone. In questo modo, si è introdotto nel corpo italico circa un miliardo di aspirine, qualche intollerabile antibiotico di nuove tasse senza aver chiaro che non sono i sintomi a dover essere curati, ma la malattia. Occorreva un cambio di paradigma, la consapevolezza che la guarigione del malato si può ottenere concentrandosi sulla causa e non sugli effetti della patologia.
Difficile pensare che cotanti medici non siano in grado di diagnosticarla. La malattia del sistema produttivo italiano non è la disoccupazione giovanile o la mancanza di lavoro in generale: questi sono solo i sintomi. Occorre intervenire chirurgicamente con decisione sui tagli alla spesa pubblica, sulle imposte che gravano sulle imprese e sulle famiglie, sullo snellimento del granitico apparato burocratico dello Stato, favorendo le liberalizzazioni e la privatizzazione del patrimonio pubblico improduttivo, incentivando i processi di investimenti privati nel capitale di rischio delle imprese, molte eccellenti per capacità manifatturiera e talento creativo ma spesso sottocapitalizzate ed in asfissia finanziaria perenne, quindi troppo deboli per espandersi e competere.
Le aspirine servono a ben poco in presenza di un moribondo, nondimeno è ingenuo o diabolico sprecarle sull’altare di chissà quali aspettative o progetti futuri di governo. Nonostante i boati di entusiasmo di alcuni medici di governo, l’impressione che se ne trae è purtroppo quella di una ennesima presa per i fondelli in attesa di andare tutti, o quei pochi fortunati, felicemente al mare in agosto. Sarà però un autunno caldo, caldissimo, che rischia davvero di bruciare le poche illusioni e le residue speranze degli italiani.