Da quando nel 2011 sono riusciti a fare cadere il regime di Hosni Mubarak, gli egiziani sono consapevoli del potere della rivolta popolare. Domenica si è compiuto il primo anniversario della elezione presidenziale che ha scelto Mohamed Morsi come capo di Stato e piazza Tahrir – simbolo della Primavera araba dell’Egitto – si è riaccesa per chiedere le dimissioni del presidente.
Con il cartellino rosso in mano per simulare una espulsione calcistica, i manifestanti sono scesi in piazza non solo al Cairo ma anche nelle città di Asiut, Beni Suef e Fayoum. Quella del Cairo, con circa mezzo milione di persone, resta la più grande protesta dalla rivoluzione del 25 gennaio del 2011.
Il bilancio degli scontri
Negli scontri tra i protestanti e la polizia sono morte sette persone e circa 200 sono rimaste ferite. La sede del partito Fratelli Musulmani al Cairo è stata attaccata con bombe incendiarie e pietre senza che la polizia e le forze armate potessero intervenire.
Secondo il corrispondente al Cairo del quotidiano spagnolo El Pais, un elicottero delle forze armate ha lanciato sui manifestanti bandiere dell’Egitto, in segno di sostegno. Il ruolo dei militari sembra essere ancora determinante per i risvolti della situazione politica del Paese.
Le mancanze di Morsi
Nonostante Morsi sia il primo presidente eletto democraticamente in Egitto con 13,2 milioni di voti un anno fa, oggi i manifestanti lo accusano di non avere affrontato i problemi economici e di sicurezza, ma di avere anteposto gli interessi dei Fratelli Musulmani a quelli del Paese. Il movimento popolare Tamarod (Ribelle) sostiene di aver raccolto 22 milioni di firme per chiedere le dimissioni di Morsi.
In un’intervista al quotidiano britannico The Guardian, Morsi ha detto che si rifiuta di accogliere la richiesta di dimissioni dell’opposizione, perché questo servirebbe solo a indebolire la legittimità dei suoi successori. Si è detto aperto al dialogo in quella che considera una congiuntura normale in un sistema plurale e democratico.
Contro Obama
La rabbia dei manifestanti non è indirizzata solo contro Morsi. Molti dei cartelloni avevano la faccia del presidente americano con una sbarra rossa e la scritta: “Obama appoggia il terrorismo”. Due settimane fa la Casa Bianca si è detta “scettica” sull’utilità delle proteste contro Morsi in Egitto perché il Paese “ha bisogno di stabilità economica e non di violenza”.
Ma gli egiziani non dimenticano che nel 2011, invece, il governo americano ha sostenuto la rivolta contro Mubarak. E si chiedono perché questa volta ne prenda le distanze.