In Parlamento impazza il virus del cupio dissolvi. La bramosia distruttiva dei dieci piccoli indiani è specchio e causa di una Italia che ha dato via libera ai peggiori istinti con le pulsioni autodistruttive. Dai 5 stelle a Scelta civica, dal PD al PDL alla Lega, non esiste più un gruppo parlamentare che non sia attraversato non solo da dissensi, ma da spaccature e lacerazioni che danno l’impressione di preludere a una deflagrazione. Che si tratti delle eterne primarie del PD o della versione 2.0 di Forza Italia, del difficile amalgama montiano o delle espulsioni a raffica tra i grillini, il risultato non cambia.
Che questo avvenga in un gruppo e/o in un partito ci sta. Che stia avvenendo in tutti i gruppi è assai preoccupante. Un inguaribile ottimista potrebbe dire che sono i dolorosi travagli del parto: da tempo dicevamo che la vecchia politica, il vecchio sistema era morto, e che comunque le pezze di questi ultimi tempi erano del tutto inadeguate. Ma questa è solo una speranza: si dimentica che di parto si può morire, o – fantascienza che ben si adatta alla surreale situazione politica – si può dare alla luce un mostro. Che queste scosse siano segno di un riadattamento a una situazione nuova prossima ventura è un auspicio, ma che si tratti di un terremoto piuttosto che di scosse di assestamento appare probabile. E dopo il terremoto si può ricostruire, ma con quante vittime, e dopo quanto tempo? E alcuni danni non restano irreparabili? Ecco, questo è quello che rischia di accadere al sistema politico, ma ciò vuol dire all’Italia intera. A tutti noi.
I punti della crisi della politica a me sembrano abbastanza chiari, ma temo che altrettanta consapevolezza non sia diffusa, e comunque sono le soluzioni che latitano. Provo a buttare giù un piccolo schema (e nulla si riferisce in esclusiva ai grillini).
Antipolitica. La maledizione dell’anticasta che sperava di rinnovare la politica, l’ha invece travolta, e non distinguendo tra buona politica e cattivi politici, ha innescato un meccanismo di personalismi, scontri e contrapposizioni che disgregano e distruggono, e nessuno più pensa a costruire, nessuno più ritiene che costruire sia utile e vantaggioso. Vince chi grida di più, chi contrasta di più, chi spacca di più, chi più mette all’indice, chi più si separa. L’anticasta che divora persino se stessa distrugge il paese. Si sono aperte le gabbie e ora le furie impazzano. Altro che convergenze parallele, siamo alle divergenze contrastanti.
Il web. Internet – strumento di per sé incolpevole tanto quanto non è salvifico – facilita l’espressione deresponsabilizzata delle pulsioni più irrazionali e violente, lasciando ai margini ogni spirito costruttivo. E questo virus ha contagiato tutti. Un problema che da tempo affligge la società, con i click facili e gli insulti deresponsabilizzati, ma ora lo tsunami internet (il cattivo uso di essa) ha investito anche la politica.
La fine delle ideologie. Ideologia è stata intesa come una parola brutta, e forse lo era, se inteso come schiacciamento fanatico su visioni da imporre ad ogni costo. Ma la mancanza di forza ideale, la mancanza di un senso di bene comune, la mancanza di una visione politica sta segnando la fine della politica. Non possono esistere linee politiche che non abbiano una forte ispirazione ideale, una visione della società e del futuro, una consapevolezza della meta. Il ripudio dei valori ha portato solo il vuoto, e nel vuoto gli atomi parcellizzati si scontrano e si divorano. Nella politica liquida, come nella società liquida, ci si annega.
Il pragmatismo. Si pensava di aver ottenuto un grosso progresso eliminando i riferimenti ideali e passando a una politica pragmatica, delle cose. Ma in realtà è stata una politica del contingente, della miopia, dell’interesse immediato che inevitabilmente ha finito per essere interesse privato. Se ci si muove fuori da un contesto, si gira a vuoto, e anche le migliori intenzioni portano a pochi risultati e a volte a grossi danni. Peraltro, non nascondiamoci dietro un dito: pragmatismo senza valori spiana la strada per la corruzione. .
Niente da distribuire. Troppo a lungo la politica italiana si è basata sul clientelismo di massa o di singoli. Si distribuivano benefici con le risorse dello Stato: posti di lavoro, incentivi, favori, appalti… Elementi che consolidavano rapporti che si esprimevano anche in politica. Non molti guardavano al quadro generale e alla costruzione del futuro, i più prediligevano l’interesse particolare e i vantaggi contingenti. Ora quella politica è finita. Purtroppo c’è la crisi, e non ci sono più benefici da spartire. Per fortuna l’interesse privato a scapito di quello legittimo e comune non ha più pastura dove saziarsi. Risultato: la politica non sere più, quella politica non serve più a quelli che ne beneficiavano. E – qui voglio essere urticantemente scorretto – credo che molti che oggi più se la prendono con la politica lo fanno per reazione ad essere stati traditi, mollati, erano quelli che più ne usufruivano prima.
L’omicidio dei partiti. Sembrava che tutto il male della politica fossero i partiti. E certamente la forma italiana di partitocrazia bene non ha fatto. Ma la fine dei partiti è molto peggio. Si sono sostituiti partiti che funzionavano male con agglomerati indistinti dove ciascuno cerca il personale progresso e interesse. Più o meno clan tribali e comitati di affari, senza un quadro di riferimento ideale e sociale, senza regole per guidare e all’occorrenza sanzionare chi sceglie di stare dentro quel contenitore piuttosto che in un altro. Da una politica forse troppo cristallizzata ci si è sciolti in una politica liquida, mutevole, senza punti di riferimento. Dove il pesce grosso mangia quello piccolo, perché non ne ha bisogno come invece accade in un partito dove devi conquistare il consenso partendo dal basso.
Il leaderismo. Ancora adesso molti credono che la soluzione di tutti i mali della politica sia trovar eil leader giusto, soprattutto vincente. Certo, le figure simbolo servono, e hanno tanto più valore nella società mediatizzata e televisiva. Ma se il leader esprime solo se stesso può conquistare un consenso personale per un po’, ma poi viene presto svuotato. Dalla sua stessa inconsistenza e dalla mancanza di solidità alla sue spalle, spesso. Ma se anche così non fosse sono le regole stesse del mercato dello show-business a reclamare un ricambio. I leader ci sono sempre stati, ma erano tali perché sapevano guidare una base cui dovevano rispondere. Conquistavano democraticamente il loro posto e sapevano di poter essere continuamente sfidati. Invece oggi i sistemi politici leaderistici hanno invertito la direzione dei vettori: i politici non sono orientati verso gli elettori, ma solo verso il capo , perché lui e non loro ha il potere esclusivo di decidere del loro destino. Inevitabile quindi che ci si curi degli interessi di chi ha potere su di noi: non gli elettori ma il capo. E il capo, non fosse altro che per la legge dei grandi numeri, inevitabilmente sceglie i suoi quadri con una selezione peggiore di quella che invece farebbero i cittadini, gli elettori, gli iscritti.
La legge elettorale. Ogni volta che si è a un passo dal riformarla, qualcuno dice che non è questo il tema cui si appassionano i cittadini. Verissimo. Ma la classe dirigente serve (servirebbe) per dirigere. La legge elettorale è ciò che consente al Paese di esprimere la sua guida, quindi di prendere le sue decisioni. Sarà poco affascinante ma è determinante. In questi anni siamo andati sempre peggio. Le ultime leggi elettorali erano basate su un solo principio, devastante per la politica: conta vincere, non governare. Corollario: conta essere scelti dal capo per essere messi in lista o nel collegio, non conta darsi da fare tra e per la gente, non conta avere idee e progetti.
La disaffezione degli elettori. Ci vorrò tornare. Ma il punto è: cosa devo votare se non esistono ideali di riferimento? valori? visioni? programmi seri? progetti? C’è oggi qualche elemento vero e serio che sia di stimolo a spingere a votare per l’uno invece che per l’altro? o comunque a votare?
Inseguendo questi miti che a me appaiono invece devastanti la politica si è corrosa, e si è arrivati al punto di oggi, in cui due affini non riescono a stare insieme troppo a lungo e sfasciano, rinnovano, rottamano, disintegrano, alla ricerca sempre di qualcos’altro che però su quella strada non può essere migliore. Bisogna guardare alla nascita di una nuova politica. Ma questa nuova politica non si vede all’orizzonte, e le grandi novità di questa legislatura sembrano solo l’esplosione di un fuoco da pira funebre. Dio fa impazzire quelli che vuole perdere. Occorre fermarsi prima di perdere l’Italia. Ma per farlo bisogna riaprire dalle fondamenta. Dal senso delle regole da rispettare per avere la possibilità di partecipare alla costruzione di un percorso, e anche la possibilità di dissentire senza imbattersi in autodafé e purghe. Bisogna accettare l’idea che ciascuno contribuisce con un proprio pezzo di verità alla ricerca del bene comune, e che a volte si vince e a volte si perde, non tutti ci amano, ma non bisogna per forza odiare tutti. C’è da fare una rifondazione della politica, a partire dalla politica. C’è da rifondare l’Italia, la società intera, capendo che non è cercando capri espiatori che si risolvono i problemi. La ricerca di capri espiatori ha innestato un meccanismo devastante e distruttivo: unico esempio che mi viene in mente è il periodo francese del Terrore, in cui la Rivoluzione ha divorato i propri figli. Serve assolutamente un’altra politica, ma se muore la politica muore l’Italia. Che sono già due malate gravi.