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Ior, gli errori di Cipriani e Tulli

“Le pietre d’inciampo” sulla strada del rinnovamento stanno saltando una ad una. Per conoscere il nuovo assetto dello Ior probabilmente bisognerà attendere ottobre, quando la Pontificia Commissione di controllo istituita da Papa Francesco il 24 giugno concluderà i suoi lavori. Di certo, la “rivoluzione” è partita e già ora è possibile immaginare che nulla sarà più come prima, non solo dal punto di vista della struttura (banca etica e fondazione, l’ipotesi più accreditata), ma soprattutto per quanto riguarda le persone.

Il “buon team di Ernst von Freyberg

Le dimissioni di due delle punte del “tridente” al comando dell’istituto, il direttore Paolo Cipriani e il suo vice Massimo Tulli, dicono chiaramente che il “buon team” di cui parlava a fine maggio in un’intervista al Corriere della Sera il presidente della banca vaticana, Ernst von Freyberg, non esiste più. E che la “linea bertoniana”, che finora ha retto l’istituto, è destinata a essere superata, anche con la nomina (ma, a questo punto, anche prima) del nuovo segretario di Stato, attesa al massimo al ritorno dalla Giornata Mondiale della Gioventù brasiliana.

Ora von Freyberg, che assumerà anche la carica di direttore ad interim, sarà affiancato da due consulenti, Rolando Marranci in qualità di vicedirettore e Antonio Montaresi nella nuova posizione di chief risk officer. Ma si tratta quasi certamente di ruoli di riserva, in attesa che arrivino i titolari con le giuste credenziali per il nuovo organigramma. Ammesso e non concesso che Francesco voglia tenere intatti “job titles” e “governance” interna.

Uno Ior da rifare

L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare, diceva il “Ginettaccio” Bartali nei momenti di difficoltà: ora che quel momento è arrivato, niente e nessuno possono ritenersi al riparo dall’accelerazione voluta da Francesco. Ed è presumibile che von Freyberg, nonostante fino a pochi giorni fa provasse a spargere ottimismo con una campagna di rassicurazione sui media, presagisse il fuoco covare sotto la cenere fin dal proprio insediamento, testimoniato dal fatto che, pur mangiando spesso nello stesso luogo (la Casa Santa Marta), il Papa lo sentisse “solo nelle omelie”. Di certo, a questo punto, non si tratta più di un problema di “immagine”, come lo stesso von Freyberg aveva iniziato a dire nelle sue interviste alla stampa italiana e internazionale un paio di settimane or sono. Puntualmente, infatti, dopo un periodo di bonaccia attorno al Torrione Niccolò V, durato per il primo scorcio di pontificato, il vento è tornato a soffiare con un’azione combinata Pontefice-magistratura italiana nella quale alcuni, come Massimo Franco del Corriere della Sera, vedono “un’alleanza di fatto” rispetto agli obiettivi che erano stati discussi dai cardinali riuniti nelle congregazioni generali e nell’ultimo conclave.

E’ un’ipotesi forse improbabile, ma certamente suggestiva e chissà quanto peregrina, se si considera la tempistica con la quale Bergoglio ha prima nominato come prelato dello Ior il suo uomo di fiducia monsignor Battista Ricca, direttore della Casa Santa Marta dove il Papa risiede; poi ha istituito la commissione referente d’inchiesta guidata dal cardinale Raffaele Farina e coordinata da monsignor Juan Ignacio Arrieta; vedendo infine incarcerato per accuse di corruzione e calunnia legate al tentativo di far rientrare in Italia 20 milioni di euro, forse frutto di evasione fiscale, l’ex responsabile del servizio contabilità dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (Apsa) monsignor Nunzio Scarano. Una notizia, quest’ultima che ha certamente fatto tremare Cipriani e Tulli, dato che Scarano era titolare di ben due conti presso lo Ior e che a lui – secondo il procuratore aggiunto di Roma Nello Rossi – sarebbe stato concesso di utilizzare lo Ior “come privatissima e illecita filiale off-shore”, in sostanza agendo senza alcun controllo in azioni finanziarie spericolate, o quantomeno poco chiare.

E nel momento del passo indietro della squadra di direzione, risuonano ancora e più forti le parole del Papa che, il 16 maggio in occasione di un incontro con i nuovi ambasciatori accreditati, aveva ammonito: “L’adorazione dell’antico vitello d’oro ha trovato una nuova e spietata immagine nel feticismo del denaro e nella dittatura dell’economia senza volto né scopo realmente umano” o quelle contro “la calunnia, il chiacchierare di chi cerca la sicurezza proprio nel patteggiare con il potere, coi soldi”.

L’uomo forte dello Ior

Eppure fino a poco tempo fa Paolo Cipriani era considerato l’uomo forte dello Ior. 59 anni, nominato direttore generale nel 2007 quando a capo della “banca” c’era Angelo Caloia e il presidente della commissione cardinalizia era il porporato Angelo Sodano, Cipriani si era progressivamente avvicinato al cardinale Tarcisio Bertone, e non a caso era tra coloro che più avevano osteggiato la gestione e la leadership di Ettore Gotti Tedeschi, con il quale nel 2010 erano stati indagati in una operazione antiriciclaggio da parte della magistratura di Roma, che aveva portato al sequestro di 23 milioni di euro (poi dissequestrati), giacenti su un conto Ior presso il Credito Artigiano.

I “nemici” di Gotti Tedeschi

Gotti Tedeschi, defenestrato nel maggio 2012, nel suo “memoriale” svelato dalla stampa alla fine di aprile, individuava proprio in Cipriani, nel direttore di Rai Vaticano e nell’avvocato americano Jeffrey Lena, oltre che nel segretario di Stato Tarcisio Bertone, i suoi principali nemici, dai quali si sentiva spiato e messo sotto accusa: “Lei passerà allo storia per aver distrutto lo Ior”, lo avrebbero minacciato Cipriani e Simeon. “Il tutto – proseguiva il banchiere piacentino – con un progressivo processo di screditamento verso il Segretario di Stato e persino un tentativo (fallito) di screditarmi con mons GG (padre Georg, ndr) e con S. Santità”, attraverso “calunnie che il Segretario di Stato ha riferito a GG. Dette calunnie si riferiscono a cose che io avrei detto sul Papa”.

Singolare – ma, visti i tempi, non troppo – che nessuno oggi abbia fatto nulla per cercare di trattenere il direttore e il suo vice, come traspare dalla laconica comunicazione della sala stampa vaticana, secondo la quale sia Cipriani che Tulli “dopo molti anni di servizio hanno deciso che questo atto sarebbe stato nel migliore interesse dell’Istituto stesso e della Santa Sede”, e per questo “il consiglio di sovrintendenza e la commissione dei cardinali hanno accettato le loro dimissioni”. Come dire: la rivoluzione in corso non si arresta, meglio uscire così che per effetto di un provvedimento d’imperio da parte della più alta autorità, il Papa.

La giusta strada per lo Ior

Rilette in queste ore, allora, le parole di difesa a tutto campo dell’operato della banca vaticana, che Cipriani aveva speso in una intervista al Giornale il 14 giugno scorso, danno esattamente l’idea di un management arroccato e pronto a resistere fino all’ultimo, cioè ieri, e in qualche modo mettono in una luce nuova la figura e l’operato di Ettore Gotti Tedeschi. Forse “quella spinta che noi dipendenti chiedevamo da tempo”, di cui parlava Cipriani, e che doveva essere garantita dall’arrivo del nuovo presidente von Freyberg, non andava nella giusta direzione. Per questo, come ha detto il cardinale Jean Louis Tauran (membro sia della commissione cardinalizia di vigilanza che della Pontificia commissione referente, e uomo di fiducia del Papa), “bisognerà individuare la giusta strada per mettere lo Ior nelle migliori condizioni possibili per fare il bene della vita della Chiesa universale”.

Certamente, come ha detto Francesco, Pietro non aveva un conto in banca, ma ora sì. E, così com’è, quella banca sembra proprio non piacergli. Le “pietre d’inciampo” intanto saltano, in attesa delle mosse risolutive.

 


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