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Perché quella in Egitto non è una Primavera araba

Dopo soltanto un anno dalle consultazioni democratiche che hanno eletto Mohammed Morsi come presidente dell’Egitto, si è verificato un altro golpe militare. La situazione è molto diversa rispetto a quella del 2011 contro Hosni Mubarak. Questa volta le motivazioni sono (soprattutto) socio-economiche, mentre invece allora a spingere i manifestanti in piazza è stato il desiderio di cambiamento del sistema politico.

In un’intervista con Formiche.net, Stefano Torelli, ricercatore dell’Ispi, ha spiegato differenze e somiglianze tra piazza Tahrir 1 – la rivolta del 2011 contro Mubarak – e piazza Tahrir 2 – quella del 2013 contro Morsi: “Piazza Tahrir 1 era sostanzialmente contro un sistema politico con caratteristiche di corruzione, nepotismo e autoritarismo. Invece piazza Tahrir 2 ha un movente socio-economico. La protesta contro Morsi non pretendeva un cambiamento totale del sistema. I manifestanti erano contro un governo specifico, quello di Morsi, e la sua incapacità di dare risposta alle richieste della popolazione”, ha detto Torelli. Al di là delle accuse di “islamizzazione dello Stato” è stata la drammaticità degli indici economici dell’ultimo anno a scatenare lo scontento popolare.

Il protagonismo militare

Il parallelismo è segnato dall’arbitro finale: i militari. “Anche questa volta, come accade in Egitto dal 1952, quando è diventata una Repubblica, l’esercito riconferma il suo ruolo forte nella vita politica. Sempre pronto a intervenire, sia per garantire la stabilità del Paese, ma anche per interessi propri di carattere economico e politico”, ha spiegato Torelli. I militari egiziani sono riusciti a sostenere sia Morsi e i Fratelli Musulmani che la piazza che oggi si rivolta contro di loro.

Una volta compiuto il golpe, si imporrà un nuovo governo militare nei prossimi mesi in Egitto? “Negli scenari futuri probabilmente c’è un governo militare di transizione che potrebbe durare da sei mesi a un anno. Il tempo necessario per preparare il terreno a nuove elezioni”, ha detto Torelli. Secondo il ricercatore bisogna capire se questo governo militare avrà l’intenzione reale di saldare le fratture del Paese, ricreare un clima democratico, o avrà altri interessi e vorrà mantenere il controllo. Ora si parla di una nuova Costituzione e di nuove regole del gioco democratico.

L’errore di Obama

Gli Stati Uniti sono stati assenti negli ultimi mesi nella vicenda egiziana. In politica estera la loro attenzione è concentrata sull’area del Pacifico. “Non sono rimasti sorpresi, ma sembra che non fossero neanche al corrente della situazione. Il comunicato della Casa Bianca è arrivato a fatti avvenuti. Non c’è stato modo di influenzare lo stato delle cose o dare nessun tipo di suggerimento. Questa è la prova della perdita di autorevolezza degli Usa nel Medio Oriente”, ha detto Torelli.

Il presidente della Siria, Bashar al Assad, ha celebrato la caduta di Morsi. In un’intervista al quotidiano siriano “Ath-Thawra”, postata sul suo profilo Facebook, Assad ha detto che dopo un anno le bugie dei Fratelli Musulmani sono state svelate al popolo egiziano. “In qualsiasi parte del mondo, chi utilizza la religione con fini politici o per beneficio di alcuni e non di altri, cadrà”, ha detto Assad.

Ma la vicenda egiziana non avrà ripercussioni regionali. È un “regolamento di conti” interno, che non avrà ripercussioni a livello regionale. Nonostante gli Usa abbiano perso un alleato in Medio Oriente, secondo Torelli il colpo di Stato in Egitto non cambierà il quadro generale. La guerra in Siria, così come la situazione della Libia e della Tunisia, hanno preso una piega specifica.


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