Con l’autorizzazione dell’editore e dell’autore pubblichiamo l’articolo di Edoardo Narduzzi uscito sul quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi, Italia Oggi.
Al Cairo, nella piazza che decretò la caduta di Mubarak dalla sedia del potere, la folla è tornata a protestare contro il nuovo presidente, Morsi. In un’altra piazza a Istanbul, piazza Taksim, per molti giorni il governo di Erdogan ha dovuto fronteggiare una protesta tanto rapida nel formarsi, quanto dinamica nell’agitarsi. In Brasile le partite della Confederation Cup di calcio sono state accompagnate da scontri e confronti tra le forze di polizia, quasi sempre in assetto antisommossa, e capannelli numerosi di cittadini non più disposti a strarsene in silenzio in attesa del prossimo voto.
La piazza dei paesi dove la globalizzazione ha, pur con modalità e sfumature molto diverse, prodotto nuova ricchezza, un primo blocco consistente di ceto in grado di consumare e una gioventù istruita, pretende che il tempo delle riforme politiche viaggi al ritmo dei cambiamenti imposti dalle nuove tecnologie agli equilibri sociali. La digitalizzazione della società ha dischiuso le porte a forme di comunicazione e di aggregazione che vanno ben oltre la forma partito o la struttura sindacale conosciuta per decenni.
Oggi la voglia di cambiamento è percepita come talmente indispensabile che la richiesta di riforme diventa piazza e si incarna in un’originale forma di protesta che si materializza tra la piazza fisica, dove il confronto e lo scontro producono le immagini della realtà diffondibili nel web, e gli scambi di ogni cosa, commenti, foto, video, sui social media. Il malcontento di una singola piazza diventa, contestualmente, forma politica in grado di rivendicare riforme e cambiamento dalla classe politica, e un reality show in tempo reale a portata di smartphone o di tablet. Questa è la nuova dimensione della politica ai tempi della globalizzazione e della Rete. Una dimensione fatta di strappi continui e di equilibri solo in apparenza stabili.
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