Grazie all’autorizzazione di Class Editori, pubblichiamo il commento di Sergio Soave pubblicato sul numero odierno del quotidiano Italia Oggi.
Matteo Renzi deve essersi reso conto che, con le incertezze e le contraddizioni con cui si è baloccato nelle ultime settimane, sta rischiando di emulare il suo antico avversario, Pierluigi Bersani, che non è riuscito a fare gol, nelle elezioni politiche recenti, nonostante la porta fosse vuota. Questa metafora l’aveva inventata proprio il sindaco di Firenze, per commentare con una punta di sarcasmo la parabola bersaniana, quindi è possibile che gli sia tornata alla mente quando ha visto i primi segni di caduta di popolarità per il tatticismo con cui ha avviato la sua campagna congressuale nel Partito democratico. Questa volta è stato lui a mettere in primo piano la questione delle «regole», che per sua natura appassiona soltanto i settori più vicini alle burocrazie di partito, lasciando sullo sfondo gli obiettivi politici per il partito e per il paese. Dare al congresso, che si dovrebbe tenere entro l’anno, il carattere della designazione di un candidato premier democratico, mentre c’è un premier democratico in carica, Enrico Letta, avrebbe con ogni probabilità lo stesso effetto che ebbe a suo tempo la designazione a candidato premier di un Pd a vocazione maggioritaria, quindi senza l’alleanza della sinistra estrema, di Walter Veltroni mentre Romano Prodi governava con una, peraltro millimetrica, maggioranza che dipendeva da Fausto Bertinotti.
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