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Letta si decida a dare battaglia ad Annibale

Questo commento è stato pubblicato sulla Gazzetta di Parma di oggi

Il paragone è lontano e improprio. Ma con l’arte del rinvio in cui ormai eccelle, Enrico Letta si sta guadagnando il diritto che la storia aveva concesso al solo Quinto Fabio Massimo, detto Cunctator, cioè “il temporeggiatore”. Quell’appellativo tanto familiare a intere generazioni di Liceo classico, il politico e generale romano vissuto nel terzo secolo avanti Cristo se l’era conquistato perché per mesi aveva pressato l’esercito di Annibale. Senza però aver mai affrontato in una battaglia decisiva il grande nemico di Roma. Prendeva tempo, il temporeggiatore. Decideva di non decidere, sceglieva la strategia del lento logoramento.
Ecco, il concetto del logoramento ci riporta subito ai tempi nostri: “Il potere logora chi non ce l’ha”, forse non era la massima preferita di Giulio Andreotti? Il giovane Letta sembra sulla stessa via politica degli Andreotti e degli Arnaldo Forlani del tempo che fu: mediare sempre, mediare tutto, mediare comunque. E’ come se gli ultimi democristiani della prima Repubblica avessero passato il testimone al primo della seconda, o già terza. L’Iva aumenta o no? Si vedrà. L’imu sulla prima casa resta o scompare? Ancora non si sa. E le benedette riforme, che dall’economia alle istituzioni dovevano cambiare l’Italia? E l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, che doveva dare un forte segnale di novità ai cittadini? E l’abolizione delle Province, che tutti reclamano ma nessuno, nemmeno la Corte costituzionale, lascia avviare? Calma e gesso: qui si ragiona. Ogni decisione annunciata passa di commissione in commissione, di agenda in agenda. E ormai siamo incamminati verso l’autunno, posto che d’estate – figurarsi – l’attività legislativa del governo e delle Camere va in vacanza molto più a lungo di quella che potranno permettersi tanti italiani.

Certo, Enrico il temporeggiatore ha qualche attenuante. Non è facile mettere insieme Stefano Fassina e Daniela Santanchè, come deve fare chi guida un governo composito. E con una coperta economica che, se la tiri a destra, lascia scoperta la sinistra, e viceversa. E’ penoso, inoltre, dover trattare ogni volta con Bruxelles, che alterna bastone e carota, e mai col Fondo monetario internazionale, che pretende di darci lezioni di fisco in casa nostra. E poi è naturale immaginare che il presidente del Consiglio intenda tagliare il traguardo dei diciotto mesi che si è dato, e che perciò voglia “durare” per arrivare sano e salvo alla mèta.

All’orizzonte, del resto, non mancano appuntamenti importanti, dal semestre di presidenza del Consiglio italiana dell’Unione europea (seconda metà del 2014) all’Esposizione universale di Milano del 2015. Ma una cosa è il tempo, altra il temporeggiare. A più di due mesi dall’insediamento dell’esecutivo (fine aprile), non si può più continuare a spostare le scelte all’infinito in nome di una stabilità che rischia di diventare paralisi. Soprattutto le misure di carattere economico, che rappresentano l’unica ragione sociale di una maggioranza altrimenti impensabile, andando dal Pd al Pdl e passando per Scelta civica. Domani non è sempre “un altro giorno”. A conti fatti sono passati 103 giorni dalle elezioni e siamo ancora in attesa di sapere se il governo taglierà le tasse o le spese, e quali, e quando, e quanto.

Chissà se il tenero Letta ami lo “slow food”, la filosofia della lentezza che contribuisce al piacere d’assaporare un buon cibo o, nel caso del premier, di ispirare una buona decisione. Una decisione lenta, dunque, ma inesorabile, se di autentica decisione si tratta. Ma qui si cullano nell’amaca dei “vedremo”, delle “verifiche” di maggioranza che poco o nulla verificano, dei comitati chiamati –ancora!- a “studiare” le misure, anziché a realizzarle. Ma la crisi, cioè Annibale, è alle porte: Letta si decida a dare battaglia.


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