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Sul Corriere Capaldo smonta il taglia debito alla Brunetta

Un piano di dismissioni immobiliari per far fronte al debito pubblico crescente italiano? Non sembra un’ipotesi realizzabile secondo l’economista Pellegrino Capaldo, presidente della Fondazione Nuovo Millennio, che, in un’intervista al Corriere della Sera, ricorda che “la crescita dipende essenzialmente dalle imprese”, bolla il piano di rientro del Fiscal Compact e suggerisce di sfondare il tetto del 3% del deficit per rimettere in corsa l’Italia.

Rientro del debito ma con sforamenti iniziali del deficit

“Dimezzare il debito pubblico nei prossimi 20 anni – spiega l’economista ed ex banchiere Capaldo – è un obiettivo sia pur a fatica realizzabile, ma a condizione che si faccia un vero Progetto Paese e che nei primi 2 o 3 anni di piano si possa sfondare il tetto del 3% di deficit, per finanziare gli investimenti necessari a mettere in moto la crescita”. Secondo Capaldo, “dobbiamo impostare coraggiosamente una politica che faccia crescere le imprese e le induca a creare occupazione”.

Piano Taglia debito irrealizzabile

Sul futuro dell’Italia, comunque, grava il peso di un debito troppo alto: “Dipendiamo dagli umori, per non dir peggio, dei mercati finanziari e dall’opinione che essi hanno della nostra solvibilità”. Ma poca fiducia viene espressa su piani taglia debito, come quello proposto da Renato Brunetta del Pdl e ideato dall’ex ministro Francesco Forte e dagli economisti Paolo Savona e Rainer Masera. “Non sono noti, o almeno non conosco, i dettagli di questo piano e pertanto non sono in grado di esprimere un giudizio. Più in generale, credo non sia realistico puntare su dismissioni per centinaia d miliardi di euro. Gli immobili da vendere ormai non sono molti e comunque non mi sembra il momento per farlo. Naturalmente, per ovvie ragioni, escludo dal computo i cosiddetti immobili strumentali, sedi degli uffici pubblici, perché poi dovremmo riprenderli in affitto ad un tasso che, secondo l’esperienza, è più alto di quello del debito pubblico. Ne conseguirebbe una riduzione degli interessi largamente soverchiata dall’aumento dei fitti passivi. Insomma, la vendita dei beni strumentali non è una soluzione, rischia solo di aggravare il male”.

No alle privatizzazioni stile anni Novanta

D’altro canto, secondo Capaldo,l’esperienza delle privatizzazioni degli anni Novanta insegna “che la gestione dell’economia ha bisogno di un progetto. Senza un progetto, sia pur a maglie larghe, non si va molto lontano”, conclude.


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