La Cina ha il “più attivo e diversificato programma per missili balistici al mondo”, si legge nel rapporto 2013 sulla minaccia missilistica presentato dal National Air Space Intelligence Center statunitense. L’arsenale cinese, scrive l’agenzia Bloomberg, comprende nuovi sottomarini capaci di lanciare i missili JL-2 che, si legge nel documento, danno per la prima volta ai cinesi la possibilità di colpire gli Stati Uniti.
Sotto molti aspetti il rapporto è però poco più di un copia-incolla dei documenti degli anni precedenti, ha messo in evidenza il blog Intercepts su Defence News. La frase in apertura del pezzo e le tre righe successive, in cui si dà conto degli aggiornamenti dei sistemi missilistici e del fatto che la Repubblica popolare stia espandendo la propria forza sia per grandezza dei missili sia per il tipo, compaiono uguali nel rapporto 2009 e sono a loro volta una rielaborazione di una frase simile del 2006.
Scarsa enfasi è invece dati ai sistemi Anti-Access/Area Denial (A2AD), capaci cioè di interdire formazioni navali impedendo loro di avvicinarsi alle coste come il missile balistico antinave DF-21D, “studiato per prevenire che la forza militare avversaria possa entrare in un conflitto regionale”. Una frase ripresa anche da Bloomberg. C’è poi il riferimento al numero di testate nucleari cinesi su missili balistici intercontinentali capaci di raggiungere gli Usa: potrebbero essere oltre 100 nei prossimi quindici anni.
Le stesse parole del 2009 e gli stessi concetti del 2006. Tanto da spingere l’autore a chiedersi se negli ultimi sette anni ci siano stati “cambiamenti sostanziali” nella capacità cinese di colpire gli Usa con missili nucleari.
Anche il riferimento ai JL-2 e alla prima volta degli Usa nel mirino dei sottomarini del Dragone compare negli anni precedenti e si trova addirittura identica nell’analisi del 1998, sebbene con la postilla “quando sarà schierato nel prossimo decennio”.
Resta l’interesse per la modernizzazione della struttura militare cinese, le cui spese per la difesa sono raddoppiate dal 2006. Aumenti che si inseriscono in un contesto regionale in cui Pechino guarda con sospetto al ricollocamento strategico statunitense nella regione, il cosiddetto “pivot asiatico”, ed è coinvolta in dispute territoriali con diversi governi vicini, primo tra tutti il Giappone che lo scorso 9 luglio ha diffuso un libro bianco sulla Difesa in cui indica la Cina come una minaccia. Frasi che, ha risposto la portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Hua Chunying, non fanno che “creare tensioni regionali”.