Caro direttore,
come avevamo annunciato, a Firenze è andato in scena il reset di Futuro e libertà.
Nuova fase, nuova organizzazione, nuova visione programmatica, sintesi di valori condivisi e pragmatiche necessità per il paese. L’adesione ed il concorso ad una fase costituente che è ormai “in rebus”, nelle iniziative che spontaneamente sorgono qua e là in Italia, nell’importante appello degli intellettuali d’area a riunire la destra o, se preferite, le destre disperse.
Abbiamo ormai assorbito la batosta elettorale, assimilato il fatto che era sbagliato immaginare una via terzopolista.
Il nostro atto di nascita era fondato su valori di destra, su una ribellione nel nome della politica intesa come servizio per il proprio paese e non per i propri interessi, del patriottismo, dell”etica pubblica, della legge uguale per tutti… Siamo finiti sugli scogli quando abbiamo rinunciato a combattere la battaglia per una destra pulita, libera, europea, acquattandoci ad aspettare che qualcosa accadesse, stando all’ombra di un Monti che ha poi dimostrato tutta la sua presunzione e inconsistenza politica (dopo averci succhiato il sangue).
Solo gli sciocchi non ammettono i propri errori ma solo i mezzuomini si ritirano quando perdono una battaglia. E le ragioni che ci hanno ispirato i primi passi sono valide oggi come allora.
Per quanto mi riguarda, al di là delle ironie di Libero, a Firenze non si è ritrovata un’armata di zombi, col futuro dietro le spalle, ma piuttosto una comunità di uomini e donne che hanno ancora voglia di anteporre i sogni alle convenienze.
lo dico con l’umiltà di chi ha coscienza dei limiti propri (primo stadio della sapienza socratica) e di ciò che gli sta intorno, ma anche con la fierezza di combatte la sua battaglia col cuore puro e fa le cose in cui crede, con l’ottimismo della volontà, non perché fa una recita teatrale.
A Firenze mi è tornata alla mente quella frase di Lawrence d’Arabia, dedicata agli uomini che al risveglio non credono all’inconsistenza del loro sogno ma si dannano piuttosto per renderlo reale. E’ un po’ questo il senso della nostra ripartenza.
Abbiamo rimesso in piedi sede, struttura, rete, con mille difficoltà e senza soldi. Ma per ripartire.
Cercheremo di coniugare tradizione e innovazione, producendo dibattito e iniziative: a settembre un incontro con tutte le voci della destra a Mirabello (evocativa per chi da questa cultura viene)
e soprattutto una grande convention, tutta rivolta al futuro, con i comitati per costituente nazionale, che serviranno a superare steccati, barriere, a seminare idee e modernità.
Metteremo insieme il coraggio di essere moderni patrioti, italiani ed europei, uomini di solidarietà e attenzione sociale, ma pronti al cambio di passo del mondo, della competizione globale, delle sfide della green economy, dell’attenzione ai nostri immensi paesaggi culturali e storici.
Non la vogliamo più l’Italia delle menti più brillanti che scappano all’estero, dove chiudono mille aziende al giorno e quaranta giovani su cento si vedono senza lavoro e senza futuro. La speranza la dobbiamo soprattutto a loro, e questa può germogliare solo dalla serietà e dal pragmatismo, dallo studio e dalla capacItà di una politica che ha bisogno di esempi e non di promesse di nuovi miracoli cui non crede più nessuno.
Parlano drammaticamente i numeri.
Un’altra cosa, tornando a noi, ci dicono i numeri e cioè che mai, dal ’48 ai giorni nostri, la destra è stata così marginale, inutile, ininfluente. Nonostante il fatto paradossale che a tutt’oggi (e ce l’hanno spiegato Piepoli e Ferrari Nasi, sociologi e sondaggisti) la pubblica opinione si dichiari maggioritariamente idealmente a destra.
C’è un vuoto di rappresentanza, evidente da colmare. Non per le nostre fortune personali, ma per dar voce ad un vasto segmento del paese che non ha più voce.
Secondo Gennaro Malgieri, figura nobile della nostra cultura, “la destra è anche un sentimento”: è vero, mettiamo da parte rancori e mal di pancia, e ridiamo a quel sentimento voci, volti, sogni…
Roberto Menia