Americano e cinese sono le due lingue più diffuse, e anche quelle a cui le borse mondiali prestano di più l’orecchio per decidere le loro mosse. Fed e Bank of China dettano quindi gli umori anche delle altre banche centrali, che tentano di indirizzare la rotta, almeno a livello monetario, in Paesi le cui economie navigano a vista. Quantitative Easing, taper, dovish, i discorsi di partenza sono gli stessi, ma gli Emergenti sono costretti a declinarli in altri modi, come dimostra il caso indiano.
La Fed
La Fed del governatore Usa Ben Bernanke continua ad ammaliare Wall Street promettendo di proseguire con il suo programma di acquisto di titoli da 85 miliardi di dollari al mese. Un piano che non finirà finché la disoccupazione Usa non scenderà al tasso del 6,5%. E se ci si avvicina, come con gli ultimi dati che la stimano al 7,6%, Bernanke si affretta a dire che la situazione non è buona come sembra. Si stava meglio quando si stava peggio, per Wall Street, in sostanza. A costo di spaccare la Fed, frammentata sulla politica da seguire.
Tassi e credit crunch per la Bce di Draghi
Una politica che si riflette anche al di là dell’Atlantico. La situazione migliora, secondo il governatore della Bce Mario Draghi. Più politica o annuncio che logica economica, quindi, quando l’Eurotower dichiara di essere disponibile ad attuare tassi negativi. E pronta si è detta da un pezzo, sbattendo però la faccia davanti ai falchi del consiglio direttivo di Francoforte. I tassi comunque restano al minimo, sostenendo il settore bancario che ringrazia. Le banche europee escono infatti rafforzate patrimonialmente dalla crisi, ma non le famiglie e le imprese soffocate dal credit crunch.
La mossa di Carney alla BoE
E i tassi della Bce al minimo storico, allo 0,50%, restano in linea con quelli della Bank of England, alla cui guida vede il neo governatore Mark Carney. Poco da festeggiare per chi si aspettava una nuova super colomba. Carney, sottolinea il Telegraph, ha deciso oggi di votare contro un ulteriore allentamento del programma di Quantitative Easing da 375 miliardi di sterline. E il voto del Monetary Policy Committee, il board della Bank of England, è stato all’unanimità. Poche speranze, quindi, per le prossime mosse di Threadneedle Street. Niente nuovi regali ma neanche passi indietro a Londra. La City si accontenti.
La stretta della PBoC
Col pugno più duro, invece, la People’s Bank of China. Odor d’inflazione e sistema bancario a rischio bolla costringono Pechino a chiudere, almeno un po’, i cordoni della borsa. E se le brutte notizie non vengono mai sole, ad abbattere le borse asiatiche sono arrivati anche i dati sul secondo trimestre del 2013. Una crescita al di sotto delle aspettative di cui però la politica monetaria non vuole più prendere le redini. A spronare il Dragone, adesso, dovranno pensarci riforme e taglio del debito. Un refrain ben conosciuto a Bruxelles, che allarma le borse e gli investitori stranieri.
Economia in ripresa in Giappone
A gonfie vele, sembrerebbe andare invece l’economia giapponese, come ha spiegato il governatore della Bank of Japan Haruhiko Kuroda. Tutto merito delle politiche decise dal premier Shinzo Abe? No, certo. Il programma della Bank of Japan, ha annunciato Kuroda, è di iniettare oltre 60mila miliardi di yen (606 miliardi di dollari) ogni anno nell’economia giapponese. I capitali stranieri fuggono alla svalutazione dello yen e rimpatriano negli Usa a caccia di tassi più alti sui bond, quello che gli Emergenti del Sud America rimproverano a Bernanke e che e l’India tenta, a suo modo, di evitare.
Il balzo dei tassi e della rupia indiani
Una rupia più forte e maggiori investimenti in India, senza fughe di capitali verso gli Usa, è infatti l’obiettivo della Banca centrale indiana, che ha alzato di ben due punti percentuali i tassi (marginal standing facility rate e bank rate), portandoli dall’8,25% al 10,25%. I primi effetti? “La rupia stamattina ha toccato i massimi da oltre due settimane contro il dollaro”, sottolinea il Sole 24 Ore. Si tratta di un “piccolo ma significativo rimbalzo, dopo la spaventosa discesa degli ultimi due mesi e mezzo, dovuta ai timori di un rallentamento del quantitative easing americano e al conseguente rialzo dei rendimenti dei T-Bond Usa. La Banca centrale indiana ha anche annunciato che da domani venderà bond per 120 miliardi di rupie (2 miliardi di dollari) con operazioni open market”.
Le politiche indiane per facilitare gli investimenti stranieri
L’India ha deciso di allentare le norme per gli investimenti stranieri nelle telecomunicazioni e in una decina di settori nel tentativo di rivitalizzare la crescita e fermare il declino della rupia. Le misure sono state approvate ieri sera dal consiglio dei ministri e sono state rese note in comunicato del ministero del Commercio e Industria. La riforma più importante riguarda l’aumento al 100% della quota di capitali stranieri permessa per le telecomunicazioni (dall’attuale 74%). Permetterà ai colossi stranieri come il britannico Vodafone o lo svedese Telenor di operare senza un partner indiano. Una parziale apertura riguarda anche il settore della Difesa, uno dei più protetti, dove sarà possibile superare il limite attuale del 26% di investimenti diretti esteri (Fdi), ma solo nel caso di produzione al alto contenuto tecnologico e deciso caso per caso. Il ministro del Commercio Anand Sharma ha detto che le restrizioni in altri settori, come le assicurazioni, potrebbero essere presto ridotte o abolite. Lo scorso settembre, l’India aveva aperto il commercio al dettaglio ai supermercati stranieri come l’americano Wall-Mart, una decisione molto contestata dall’opposizione e dai piccoli commercianti.
Giù i tassi in Australia
Strategia inversa invece per Camberra. Aumentano infatti i rumor sulla Bank of Australia, che potrebbe abbassare i tassi verso un nuovo minimo storico nel suo consiglio di agosto, dopo le notizie deludenti che arrivano dalla Cina. Secondo quanto riferito da Bloomberg, i trader danno al 50% la possibilità che la Reserve Bank of Australia tagli i tassi al 2,5%.
Chi affila le armi, chi le posa a terra e pensa alla pace, senza scelte. La guerra valutaria intanto continua. I vincitori? Banca Mondiale e Fmi tracciano un quadro per cui c’è poco da festeggiare anche nel 2013. Per la ripresa, insomma, c’è tempo, meno per le casse degli Stati che devono finanziare nuove immissioni di liquidità e che rischiano di sprofondare sotto il peso del debito pubblico.