Questo commento è stato pubblicato oggi su l’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Brescia Oggi.
Il monito non poteva essere più eloquente, sia per chi l’ha pronunciato, sia per il luogo in cui è risuonato. Durante i lavori del G20 a Mosca, il governatore della Banca d’Italia ha dunque sottolineato che, dopo tanta crisi, adesso si sente aria di crescita economica in arrivo. Ma l’instabilità politica e istituzionale rischia di far perdere all’Italia il treno del rilancio ancora lontano ma appena annunciato e finalmente atteso. Per usare le incoraggianti parole di Ignazio Visco, il pericolo di questa instabilità è che “incida sulla capacità di cogliere le opportunità della ripresa”. Anche se il governatore non ha fatto nomi, non è difficile immaginare i destinatari dell’avviso ai naviganti. Sono non soltanto le forze politiche della maggioranza, impegnate nel sostegno sempre più acrobatico al governo, ma anche quegli oppositori che in questo momento sembrano anteporre le legittime ambizioni personali all’interesse nazionale della grande ancorché litigiosa coalizione. E ogni riferimento allo scalpitante Matteo Renzi da Firenze è voluto.
Certo, il messaggio di Visco non può che essere generale e trasversale. Tanto più che l’instabilità è una nota caratteristica del nostro sistema istituzionale fin dalla notte dei tempi. Nei primi cinquanta anni di Repubblica la durata media dei governi era addirittura di nove mesi. Con la svolta del maggioritario e del bipolarismo, perciò dal 1994 in avanti, le cose sono migliorate. Ma il male oscuro non è stato ancora debellato. E l’amara sorpresa che ha complicato il già fragile equilibrio politico-istituzionale si chiama emergenza economica. Nel nome della quale ora arriva l’appello del governatore a tenere duro. I politici dovranno mettersi il cuore in pace, rinunciando per un po’ ai sogni di “rimpasti” ,“tagliandi in autunno” o addirittura “elezioni anticipate”. Sono i sogni ricorrenti a turno nel PD o nel PDL, i due partiti alleati per necessità che perdono più tempo per immaginare il loro “dopo”, anziché per agire sul nostro presente, prendendo quelle misure economiche indispensabili per cogliere la ripresa all’orizzonte.
La stabilità non è quindi né un capriccio del Quirinale, né una furbata del presidente del Consiglio Enrico Letta seduto sul vulcano PD-PDL. La stabilità è semplicemente il mezzo per raggiungere il fine, è il requisito fondamentale per saltare sul carro della ripresa. Oggi non c’è più un solo italiano disposto a sorvolare sulle condizioni economiche sue e del proprio Paese per i comodi dei giochi dentro o fuori il Palazzo. Domani arriverà anche il momento di Renzi e degli altri. Ma adesso è l’ora di remare tutti, con forza, nella stessa direzione.