Come fu per Benedetto xvi, anche il pontificato di papa Francesco vide il primo viaggio all’estero (quindi non in terra d’Italia) per la Giornata mondiale dei giovani, in Brasile. La geniale intuizione wojtyliana infatti fu il primo appuntamento internazionale del neo eletto Joseph Ratzinger nella sua Germania, a Colonia, nell’estate del 2005. E così è per papa Bergoglio, che a fine luglio sarà a Rio de Janeiro per una settimana, con una puntata ad Aparecida, luogo ricco di significato per la cristianità latino-americana. Evento, quindi, molto atteso da tutta la Chiesa, e non solo dai giovani. È il ritorno del primo pontefice del sud America nel continente d’origine, simbolico per molti aspetti. Infatti il pontificato ratzingeriano è stato straordinariamente ricco di stimoli per la Chiesa, ma ha visto una forte concentrazione “dottrinale” su questioni profondamente occidentali, a partire dal contrasto al dilagare del relativismo e la lettura della fede attraverso l’incontro con la ragione.
Bergoglio – che pure non lascerà questi temi in disparte, sia per formazione sia per sua stessa dichiarazione – sta chiaramente rimettendo in pista una chiesa di abbraccio popolare, e l’America latina è senz’altro il connubio più evidente al mondo di una Chiesa mossa da forti istanze sociali e di straordinaria devozione popolare. È anche in questo quadro che avverrà l’incontro con i giovani di tutto il mondo, che affluiranno in massa in Brasile, Paese di grandi speranze, sia politiche che economiche, ma che deve fare ancora il peso decisivo nella lotta alle povertà. “Giocate la vita per grandi ideali” ha detto a fine aprile Bergoglio rivolgendosi ai giovani alla fine dell’omelia nella messa per cresimandi e cresimati. “Scommettete su grandi ideali, su cose grandi, non siamo stati scelti dal Signore per cosine piccole ma per cose grandi”. Il nuovo papa sta attirando a sé porzioni di popolo fedele che per anni forse erano rimaste un po’ ai margini, e in questo i giovani – sia singolarmente che con le loro organizzazioni – stanno riaffollando piazza San Pietro. E Bergoglio non si sottrae al contatto diretto: ormai le udienze del mercoledì vedono la maggior parte del tempo impiegato dalla papamobile scoperta a fare il giro tra la folla festante. I giovani cattolici impegnati non hanno dimenticato Ratzinger e le sue catechesi, ma in Bergoglio hanno ora una figura in cui riconoscersi con una diversa spinta. Un po’ come accadde con Giovanni Paolo ii, specie nella seconda fase del suo pontificato, quella dei grandi raduni, uno su tutti quello a Tor Vergata nel 2000.
La vita di Bergoglio, una storia che il mondosta scoprendo attraverso le biografie che stanno uscendo – una delle prime è quella scritta dal vaticanista Andrea Tornielli, dal titolo Jorge Maria Bergoglio. Francesco. Insieme, pubblicata da Piemme – dove emerge una figura di sacerdote, di gesuita e di vescovo dedita alla quotidianità delle persone, alla fede vissuta per strada, alla “Chiesa di prossimità” che sta scrivendo un nuovo vocabolario di fede. Un episodio si rivela come emblematico nella vita di Bergoglio, e del suo rapporto con i giovani. Siamo a José Clemente Paz, una cittadina a quaranta chilometri da Buenos Aires, nella diocesi di San Miguel. Padre José Luis è il parroco. E proprio a San Miguel ha conosciuto da studente della facoltà di Teologia e filosofia Jorge Mario Bergoglio. “Ricordo quando siamo stati nella chiesa di Luján per il pellegrinaggio dei giovani – ricorda il sacerdote – ha confessato per quasi tutta la notte, fino alle 4 del mattino, e poi alle 7 ha celebrato la messa. Io ero lì con lui: confessavamo per due o tre ore, poi andavamo a prendere un caffè insieme, quindi lui tornava a confessare. E così per tutta la notte. Io ero sfinito ma lui andava avanti. Era già cardinale ma nessuno lo sapeva, perché si recava a confessare come un prete qualunque”. Il papa e i giovani. Bergoglio usa un linguaggio che arriva diretto al cuore e alla testa anche di chi non crede o non frequenta abitualmente le chiese. E ai giovani parla senza mediazioni, un’operazione molto difficile se studiata a tavolino, ma naturale a chi da sempre è abituato ad esprimersi come fa il papa. A inizio giugno ha incontrato 8mila studenti della scuole gestite in Italia e in Albania dai gesuiti. “Ho preparato questo per dirvi… ma, sono cinque pagine! Un po’ noioso… Facciamo una cosa: io farò un piccolo riassunto e poi consegnerò questo, per iscritto. E poi, c’è la possibilità che alcuni di voi facciano una domanda, e possiamo fare un piccolo dialogo. Ci piace questo, o no? Sì? Bene. Andiamo su questa strada”.
Rottura costante degli schemi, imprevedibilità dei gesti, forza di messaggio. Un po’ papa Luciani e un po’ Wojtyla, ma con un’originalità destinata a segnare profondamente la storia. “Noi dobbiamo essere magnanimi, con il cuore grande, senza paura. Scommettere sempre sui grandi ideali. Ma anche magnanimità con le cose piccole, con le cose quotidiane. Il cuore largo, il cuore grande”. Un mondo attratto dal messaggio bergogliano, una Curia ancora stordita da decisioni forti e inconsuete. Come quella di celebrare in un carcere minorile di Roma la messa crismale del giovedì santo, uno degli eventi più significativi del calendario liturgico, quello dove è prevista la lavanda dei piedi. Il papa ha incontrato una quarantina di ragazzi provenienti dall’Europa dell’est, dall’Africa e dall’Italia, e si è inginocchiato davanti a uno spaccato del disagio giovanile. Una modalità specifica rispetto alle udienze in San Pietro o al gran raduno di Rio. Un nuovo approccio che sta ridisegnando i contorni della stessa figura del successore di Pietro.
Articolo pubblicato sul numero di Luglio della rivista Formiche