Il debito italiano lievita sempre più: nel primo trimestre del 2013 ha sfondato quota 130%, assestandosi al 130,3% del Pil. E in Europa solo la Grecia deve fare i conti un debito più elevato dell’Italia, al 160,5%. Un dato che diventa un incubo per il governo Letta, anche in prospettiva dell’entrata in vigore del Fiscal Compact nel 2015, e che ha spinto il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni ad ipotizzare cessioni di società statali anche strategiche come Eni, Enel e Finmeccanica. Un indizio in più del lavorio di via Venti Settembre per tagliare il debito, dopo le proposte rilanciate dagli economisti Paolo Savona e Francesco Forte anche su Formiche.net.
Il governo, era trapelato la settimana scorsa, sta pensando alla dismissione di società come Fincantieri, Ferrovie dello Stato e Poste Italiane. Ma la virata al programma l’ha impressa il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni al G20 di Mosca, quando ha aperto alla cessione di quote in aziende strategiche come Eni, Enel e Finmeccanica. E tra le idee da valutare in futuro, secondo Via Venti Settembre ci sarebbe anche quella di utilizzare le partecipazioni come collaterale per operazioni finanziarie.
La proposta di Paolo Savona
“Per via del debito che ha raggiunto quasi il 130% del Prodotto interno lordo – ha scritto l’economista Paolo Savona sul suo blog su Formiche.net – noi paghiamo 3 punti percentuali in più di interessi sui titoli di Stato, il famoso spread, e questo in parte si riflette anche sul costo del denaro per l’attività produttiva. Occorre quindi sottrarsi a questa valutazione della speculazione. Dico speculazione perché il patrimonio pubblico a garanzia del debito pubblico è più che capiente: fu censito prudenzialmente in quasi duemila miliardi di euro di valore dal ministero dell’Economia (commissione Reviglio junior) nel 2011, comprendendo anche le partecipazioni pubbliche e il patrimonio degli enti locali, che certamente non si possono tirar fuori da questo problema”.
Per fermare la speculazione, secondo Savona, bisogna consolidare e liberarci di questa palla al piede che frena lo sviluppo del Paese. Come? “Con un’operazione di consolidamento su base volontaria. I titoli pubblici emessi dal Tesoro in circolazione vedrebbero la loro scadenza rimodulata a sette anni, indipendentemente dalla tipologia e dalla vita residua e gli interessi verrebbero rideterminati annualmente sulla base del costo della vita e del 20 per cento del tasso di crescita del Pil reale”.
I dettagli del piano Brunetta
Ma a tagliare il debito punta anche la proposta del Pdl, ideata dall’ex ministro Francesco Forte e che aveva visto anche il contributo di Savona e dell’economista Rainer Masera. Nel piano del Pdl è prevista una riduzione strutturale del debito pubblico per almeno 400 miliardi di euro (circa 20-25 punti di Pil), così da portare sotto il 100% il rapporto rispetto al Pil in 5 anni. “Dei 400 miliardi di debito da tagliare, dice il piano messo a punto da Brunetta, 100 deriverebbero dalla vendita di beni pubblici per 15-20 miliardi l’anno; 40-50 miliardi dalla costituzione e cessione di società per le concessioni demaniali; 25-35 miliardi dalla tassazione ordinaria delle attività finanziarie detenute in Svizzera (5-7 miliardi l’anno)”, ha spiegato Forte in una conversazione con Formiche.net.
Le perplessità di Capaldo
Un piano, quello messo a punto da Renato Brunetta, che è stato invece smontato dall’economista Pellegrino Capaldo. “Più in generale, credo non sia realistico puntare su dismissioni per centinaia d miliardi di euro. Gli immobili da vendere ormai non sono molti e comunque non mi sembra il momento per farlo. Naturalmente, per ovvie ragioni, escludo dal computo i cosiddetti immobili strumentali, sedi degli uffici pubblici, perché poi dovremmo riprenderli in affitto ad un tasso che, secondo l’esperienza, è più alto di quello del debito pubblico. Ne conseguirebbe una riduzione degli interessi largamente soverchiata dall’aumento dei fitti passivi. Insomma, la vendita dei beni strumentali non è una soluzione, rischia solo di aggravare il male”.
Il dibattito è aperto, sulla reale convenienza delle dismissioni, sulla loro entità e sulla modalità da seguire per tagliare il debito. La deadline, poco credibile, decisa dal governo per la presentazione di un piano? Settembre o ottobre. E, almeno stavolta, non sarà il caso di rinviare. Il tempo stringe, mentre si allargano le risorse necessarie per ripagare gli interessi su un debito sempre crescente.