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Marco Travaglio, genio diabolico

Grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo il commento di Riccardo Ruggeri, saggista, editore ed ex top manager del gruppo Fiat, apparso sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.

Sto osservando attonito la polemica durissima (due contro uno) fra due professori di alto livello accademico come Giovanni Fiandaca e Massimo Bordin, e un grande giornalista come Marco Travaglio. Non conosco nessuno dei tre, né voglio entrare nel merito di ciò che dibattono, non avendo alcuna competenza specifica, e nessuna passione per l’argomento “giustizia italiana”. Fin da piccolo, amo pervicacemente la libertà, ciò che succede nelle cucine del potere, la giustizia è una di queste, è un aspetto ancillare che trascuro, come la politica. Sono amico di importanti magistrati ai quali ho chiesto lumi sul processo di Palermo, tema della contesa, le risposte che ho avuto, come immaginavo, riguardano aspetti tecnici della vita giudiziaria lontanissimi dal mio mondo.

Come studioso di management (il mio mondo), considero Marco Travaglio una persona geniale e innovativa. È molti anni che lo seguo, capii che non era il solito giornalista giovane che voleva rassomigliare a Indro Montanelli (alla Beppe Severgnini per intenderci), ne sentii parlare (molto bene) anche dai miei figli e da loro amici. Percepii la sua capacità di lavoro (mi piacciono i veri lavoratori, una razza in via d’estinzione), ma mi colpì la sua ricerca di un “modello” di articolo giornalistico nel quale fosse impossibile “entrare”. La costruzione e l’assemblaggio dei suoi pezzi sono concepiti in modo da non essere “smontabili”, ovvio possono essere non condivisi, ma devono essere respinti in toto. Una tecnica che in altro modo usa il mio amico Stefano Lorenzetto, per le sue insuperabili interviste. Unico caso in cui gli intervistati appaiono meglio di come in realtà sono, e ne so qualcosa personalmente.

Questa tecnica mi ricorda il cloisonné (detto anche smalto di Bisanzio), una decorazione artistica ove, sopra un sottilissimo strato in filigrana di rame, viene colato dello smalto, con risultati meravigliosi (ho un minuscolo orologio da tavolo dell’800 così fatto). Il cloisonné è tecnica di tipo “additiva” (come i pezzi di Marco Travaglio, e le interviste di Stefano Lorenzetto) e non “sottrattiva”, tipo la champlevé, come sono la maggior parte dei pezzi giornalistici.

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