I numeri stanno dalla parte del premier giapponese Shinzo Abe. Dopo essersi assicurato il predominio anche al Senato, la coalizione conservatrice che lo sostiene può concentrarsi sulle riforme strutturali necessarie per sbloccare il Giappone. E che, visto il massiccio debito pubblico, non può contare solo sulle iniezioni monstre della Bank of Japan. Le redini del Paese saranno nelle mani del premier fino al 2016, senza intoppi. L’ostacolo sarà la resistenza interna alle riforme, il peso del debito e del fisc,o e la rigidità del mercato del lavoro. Malattie non solo italiane, evidentemente.
I consigli al premier Abe arrivano dal Financial Times che li affida alla penna dell’insolita accoppiata americana composta da Ian Bremmer, politologo e presidente della società di ricerca e consulenza Eurasia Group, e David Petraeus, ex generale a capo delle truppe statunitensi in Iraq e Afghanistan. Il loro giudizio sul premier giapponese? Positivo, senza badare troppo a chi intravvede la possibilità che il potere incontrastato di Abe possa lasciare spazio ad un revival nazionalista nel Paese.
Un successo che può durare
“Dopo due decenni di stagnazione, l’Abenomics, il piano del premier Abe per ravvivare l’economia del Paese, continua ad agitare le acque. Migliaia di miliardi di yen in stimoli fiscali e l’impegno della Bank of Japan a raddoppiare la base monetaria hanno pagato i loro dividendi. La fiducia dei consumatori rimane al record massimo degli ultimi sei anni e la quotazione media dei titoli Nikkei è cresciuta di oltre il 60% negli ultimi otto mesi”. Un successo che può durare? “La forte posizione di Abe suggerirebbe di sì – sostengono -. Il premier non dovrà affrontare nuove votazioni prima del 2016. Tempo che rappresenta un asset preziosissimo per spingere sulle riforme in un Paese che ha contato 15 premier negli ultimi 20 anni”.
Gli ostacoli e le relazioni con la Cina
I test più critici? “Abe dovrà resistere alle tentazioni di accrescere la propria autorità con azioni che possano creare tensioni con i Paesi vicini. Il rafforzamento del Giappone dovrà derivare dal potere e dal dinamismo della sua economia”. E il focus, spiegano, dovrà riguardare soprattutto la Cina, con cui Abe sta costruendo una “partnership strategica”. Un altro segnale promettente, secondo Bremmer e Petraeus, è la spinta impressa da Abe al trattato commerciale Trans Pacific Partnership, superando le resistenze nazionali. “Un accordo che stimolerà il dinamismo delle imprese nazionali grazie all’accesso ai mercati di Usa, Canada, Messico, Cile, Australia e non solo. E rafforzerà soprattutto i legami con Washington, un appoggio che il premier potrà usare per supportare le scomode riforme interne”.
Debito, fisco e mercato del lavoro
La sfida più grande, infatti, sarà quella con le riforme strutturali. “Primo, bisognerà fare i conti con il debito pubblico. Abe conosce l’importanza dello stimolo, ma i tagli alla spesa non possono attendere per sempre. Abe dovrà poi intervenire sul mercato del lavoro, introducendo una maggiore flessibilità per i licenziamenti”. Ma un’azione è necessaria anche sul lato fiscale. “Abe ha chiesto alle imprese di aumentare gli stipendi senza ridurre le tasse che pesano sulle loro spalle”.
La fiducia
“Il premier riuscirà a portare avanti la sua agenda?”, si chiedono. “E’ tutto da vedere, ma i risultati del voto mostrano che un risultato per uscire dalla crisi Abe l’ha già ottenuto, quello di stimolare la fiducia. La migliore notizia che si potesse avere, per ora”. Non è solo l’autonomia a livello monetario o la libertà d’azione da un’Unione che stringe le mani e chiude il portafoglio, come quella di Bruxelles, a spingere la corsa del Paese. Sono l’autorità e la credibilità del governo a fare miracoli. Il Giappone, in sostanza, parte da qui. Non l’Italia.