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Letta strapazza Renzi in stile Napolitano

Altro che Gianni Cuperlo. Altro che Fabrizio Barca. Altro che Rosario Crocetta. Altro che Guglielmo Epifani. C’è un candidato in pectore per la segreteria del Pd che non si è ancora palesato, né ha presentato documenti programmatici, né sta girando l’Italia in pullman o in camper, né sta visitando le sezioni del Pd, anche perché le conosce piuttosto bene, visto che è stato vicesegretario del Pd.

Enrico Letta c’è, è premier, ma non sta solo a Palazzo Chigi: è di fatto pure candidato alla segreteria del Pd. Mentre gli altri parlano e spesso cianciano di date del congresso, di modalità di svolgimento delle primarie, dello statuto da rispettare o da emendare, lui governa in un esecutivo di larghe intese; un esecutivo da cui non si può e non si deve prescindere. Con ciò, segnando un discrimine tra un vecchio Pd di lotta e di governo e un nuovo Pd governativo e dalle larghe intese, se necessarie o indispensabili.

Il premier ieri, parlando a porte chiuse all’assemblea dei deputati del Pd, è stato chiaro: saremo travolti se falliamo, è stata la sintesi del suo discorso. Come dire: ragazzi, anzi amici, continuate pure a lambiccarvi su statuto, primarie, congresso e a dilaniarvi. Ma sappiate che se qualcuno di voi pensa di avere giovamento da una caduta anticipata dell’esecutivo di cui io, esponente di spicco del Pd, sono presidente del Consiglio, si sbaglia di grosso. Un riferimento non tanto indiretto a chi, come Matteo Renzi e i renziani, non vede l’ora di tornare al voto per raccogliere i frutti di slogan che fanno ancora eccitare i consensi dei sondaggi per il sindaco di Firenze. Anche se, in tema di sondaggi, il premier può sfoggiare quello di Ipsos che certifica: Letta supera Renzi nella gara di popolarità, come sintetizza il Corriere della Sera. A maggio infatti la popolarità del presidente del Consiglio veniva stimata al 59 per cento, mentre ora è salita al 62 (Renzi è a quota 61).

Un’altra frase offre il senso del messaggio lettiano dal sapore napolitaniano: “Questi primi 90 giorni dimostrano che è possibile dare risposte all’Italia e all’Europa, come è accaduto sul lavoro”.

Ecco la differenza, in sostanza, tra chi parla e chi fa. Tra chi promette e chi ha l’arduo compito di governare (non solo una città).


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