I giudici di Roma hanno condannato Silvio Berlusconi alla beatificazione eterna. Il processo di canonizzazione avviato a Milano molti anni fa, lo ha definitivamente consacrato vittima del martirio inflittogli per esplicito odio alla sua fede politica ed alla sua missione terrena a difesa dei principi di amore per la libertà. È il capolavoro politico di San Silvio Martire da Arcore.
Il rapporto che lega il nuovo San Silvio ai suoi adepti, già di tipo fideistico, da oggi è ufficializzato dal riconoscimento della Cassazione che lo porterà alla venerazione anche di quegli elettori smarriti negli ultimi anni, quelli che avendo perso la fede, avevano abbandonato la luce non votandolo o non recandosi alle urne. E sono molti, circa sei milioni da aggiungere ai fedelissimi devoti nove.
E come venti anni fa, il Santo – condannato e beato ancora in vita – appare in quel luogo di culto che è la televisione per annunciare il suo verbo, raccontare con orgoglio le sue vite, a professare il bene che deve nascere dal male ed infine ad indicare a milioni di italiani il nuovo inizio, ringraziandoli e salutandoli tutti con un “Viva l’Italia, viva Forza Italia”. Un altro capolavoro mediatico, simile per certi versi a quello messo in scena quando scese negli Inferi di Michele Santoro e ripulendo la poltrona occupata da un intimidito Marco Travaglio, gli ordinò di andarsene cancellando con quel solo gesto i suoi ultimi mesi di oblio ed i suoi tanti errori, sia privati che pubblici.
È mancato però l’intervento dello Spirito Santo, l’illuminazione che avrebbe dovuto guidare le menti dei giudici. Se da una parte milioni di giuristi più o meno improvvisati discuteranno della sentenza, dividendosi equamente tra pro e contro come hanno fatto negli ultimi venti anni, dall’altra è innegabile il valore politico che assume, consegnando di fatto il Paese ad un limbo destinato a durare per molte settimane.
Vivremo il paradosso che il fragile governo del funambolo Letta dovrà necessariamente rivolgersi ad un condannato per garantirsi la propria sopravvivenza. I ministri del culto berlusconiano siedono accanto a coloro che appartengono al credo opposto, trovandosi però il proprio Messia sottoposto probabilmente alla gogna di una procedura di incandidabilità e possibile successiva espulsione dal Senato. Al di là delle dichiarazioni confuse e di circostanza di queste ore, sarà difficile per il Governo mantenere la necessaria calma e lucidità che la situazione impone. Da ipocriti pensare che la vicenda umana, giudiziale e politica di San Silvio non implichi poi un grande dispendio di tempo ed energie che dovrebbero essere destinate alla ricerca di soluzione fattive per altre faccende, quelle di interesse collettivo.
Paradossale pensare poi a San Silvio che, dall’esilio di Arcore o Porto Cervo, discuta ed approvi o meno per interposta persona le future decisione dell’esecutivo, pronto con un semplice gesto del suo pollice divino a determinare le sorti del Paese preparando, nel contempo, il suo nuovo avvento o quello dell’ amatissima figlia. Tragico e sconsolante pensare che non ci siano alternative, o perlomeno quelle percorribili siano ancora più oscure e pericolose data l’attuale frammentazione dell’arco parlamentare.
Nel Paese dei Tafazzi, dei principi del moralismo spesso senza morale, San Silvio rappresenta una storia a sé stante: nessun leader come lui ha mai saputo interpretare meglio la pancia della gente, capirne l’umore ed utilizzare i potenti mezzi a sua disposizione per professare il suo credo, cadere e risorgere. Venti anni della sua storia politica si chiudono con la sentenza di ieri, ma al contrario di ciò che molti illusi speravano ed attendevano, la sua carriera riparte da oggi con un nuovo capitolo, ancora più solida ed imponente in quanto benedetta e santificata dai tribunali dell’Inquisizione, poco santa e piuttosto miope.