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Caro Berlusconi, a perdere ora non sia l’Italia

Riceviamo e volentieri pubblichiamo un intervento di Roberto Menia, Reggente di Fli e promotore della Costituente Nazionale

Ha ragione Claudio Velardi quando, nel commentare la sentenza della Cassazione che ha confermato i quattro anni per Silvio Berlusconi, dice che il Cavaliere è politicamente finito da un pezzo e che, solo grazie all’insipienza della sinistra italiana, è rimasto in sella al suo posto.

Nulla di più appropriato, e spiego il perché. Quando non si investe sul futuro della propria azione politica, senza costruire con pazienza certosina una nuova classe dirigente, si dà fiato all’unica strada imboccata con una condotta simile: la degenerazione di una linea politica che non solo non ha portato a termine la promessa della rivoluzione liberale ma ancora oggi non è in grado di offrire una visione al Paese.

Al di là del passaggio forzato che l’episodio porta con sé, ovvero una riforma netta e ponderata della giustizia, la sentenza di Milano ci consegna uno spaccato politico assolutamente in bilico, con la “palla” che passa nel campo dei democratici, destinati ad esplodere con tutte le contraddizioni che li caratterizzano.

Con quali strategie sceglieranno di proseguire nell’appoggio ad un governo che ha la golden share nelle mani di un condannato? Come spiegheranno alla base che l’interesse nazionale di un governo delle larghe intese debba prevalere sul principio della politica “alta e pulita” da presentare come immagine e vessillo di serietà?

Con tutto il rispetto, non è proponibile anteporre il governo ad ogni costo fin qui osservato, ad altre esigenze interne ed esterne che il Paese al momento ha. Giustamente da più parti si richiama al fatto che il governo Letta dura fin quando fa ciò per cui gli è stata votata la fiducia. Ma occorrono dei distinguo.

Non possono essere sufficienti i provvedimenti annunciati sino a questo momento a rendere credibile una ripresa, non fosse altro perché è a Bruxelles e non a Roma che andranno rimodulate strategie e analisi. Da Palazzo Chigi potranno prendere il via tutte le lodevoli e ammirevoli iniziative che si vuole, ma il nodo resterà la copertura e la possibilità di sfondare quel maledetto 3%.

Il dilemma sull’Imu e sull’Iva non è stato ancora sciolto che già si intravedono gli aumenti delle imposte regionali e comunali in ogni dove. La politica dell’aumento della pressione fiscale senza meccanismi di ripresa industriale, così come il governo dei tecnici ha scelto di fare, sta portando ad un progressivo impoverimento della classe media oltre che alla polverizzazione di poli italiani di eccellenza, come le urla strazianti dell’Ilva, del Sulcis e di tante altre realtà in panne dimostrano. Inoltre la dismissione di alcuni pezzi pregiati dell’industria italiana prosegue: dopo Pernigotti passata nelle mani dei turchi, oggi è la volta del Riso Scotti di una cui fetta è stata acquistata dagli spagnoli.

Per cui il premier Letta e la sua squadra di governo per quanto volenterosi e in buona fede comprendano che, Berlusconi o no, il nodo non è solo il Cavaliere, o i falchi, o le colombe o la faida tra renziani e bersaniani: ma una politica industriale che manca clamorosamente e che deve urgentemente essere messa in pista. Puntare, come il premier ha annunciato, su un autunno di privatizzazioni non può essere la strada maestra.

In primis perché dei gioielli di famiglia Eni, Enel e Finmeccanica quest’ultima è in rosso e altissimo sarebbe il rischio che l’operazione si tramutasse in una svendita. Di contro cedere quote sarebbe come, in un momento di crisi acuta vendersi una pelliccia o qualche diamante, ma senza produrre idee innovative per tornare a fare Pil nell’industria chimica, nel siderurgico, nel manifatturiero, nelle nanotecnologie.

Questa è la scommessa che occorre all’Italia per non sprofondare nelle mani della Troika. L’occasione rappresentata dalla sentenza di Milano, dunque, sia utilizzata al meglio dalle forze politiche del Paese. Che abbiano il coraggio di imporre a Bruxelles un cambio di rotta e non di sottostare a parametri che, negli altri paesi Piggs, hanno ampiamente dimostrato tutta la loro drammatica pericolosità.



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