La nomina di monsignor Guido Pozzo a nuovo segretario della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei” (organismo il cui scopo è quello di favorire il rientro in seno alla Chiesa dei membri delle comunità tradizionaliste, in particolare di sacerdoti e seminaristi della Fraternità Sacerdotale San Pio X) parrebbe un normale avvicendamento ai vertici dell’amministrazione vaticana. Roba da addetti ai lavori, insomma. Invece – secondo quanto riporta Vatican Insider – si tratta di molto di più, ovvero della possibilità che Papa Francesco riprenda così il cammino avviato a suo tempo da Benedetto XVI per la ricomposizione dello scisma lefebvriano.
Riprendere il dialogo con i lefebvriani
Anzitutto, la novità di Pozzo è in realtà un “remake”: oggi arcivescovo di Bagnoregio, egli torna dopo solo un anno, ma con un titolo maggiore, nella Commissione che lo aveva visto tra i protagonisti della mediazione con la Fraternità San Pio X (FSSPX). Il secondo elemento riguarda il fatto che proprio nel periodo della sua assenza – negli ultimi nove mesi Pozzo è stato “elemosiniere di Sua Santità” – il dialogo con i seguaci di Marcel Lefebvre si è di fatto interrotto, provocando la paralisi di un processo che sembrava invece destinato a pacifica conclusione. Il suo ritorno sarebbe quindi un atto distensivo, che riaprirebbe una speranza per la ricomposizione dello scisma.
Lo stallo con gli scismatici
Inizialmente gli abboccamenti tra la delegazione vaticana, incaricata di seguire il dossier, e la comunità fondata da monsignor Lefebvre, nell’ottobre del 2009, avevano lasciato ben sperare circa la possibilità di un ritorno completo della FSSPX in seno alla Chiesa di Roma. Poi però le tensioni sono riemerse con forza, tanto che il nuovo prefetto dell’ex Sant’Uffizio Gerhard Mueller si è spinto a dichiarare che “il dialogo è finito”. “Sulla fede non ci sono trattative” – ha tuonato Mueller – e “non ci possono essere riduzioni della fede cattolica, tanto più se formulata validamente dal Concilio Vaticano II”.
In realtà, il nocciolo della questione sta proprio nell’accettazione dell’ultimo Concilio come parte della tradizione della Chiesa, che i lefebvriani non sono disposti a concedere, e nel rifiuto di alcune posizioni in esso espresse (ecumenismo, collegialità, libertà religiosa, messa riformata, dialogo tra le religioni). In passato si sono poi aggiunte le contestate, e ormai numerose prese di posizione sugli ebrei, da quelle del negazionista Richard Williamson alle parole del superiore della FSSPX monsignor Bernard Fellay, che ha inserito gli ebrei tra i “nemici della Chiesa”, assieme a massoni e modernisti, che di fatto impedirebbero la riconciliazione con Roma (nonostante un comunicato del distretto statunitense della Fraternità abbia poi cercato di mettere una pezza, spiegando che “nemico” è “ovviamente un concetto religioso e si riferisce a qualsiasi gruppo o setta religiosa che si oppone alla missione della Chiesa cattolica e ai suoi sforzi di raggiungere il suo scopo: la salvezza delle anime”). Il risultato dello scontro è che ad oggi i lefebvriani, espulsi dalla Chiesa nel 1976, devono ancora inviare una risposta ufficiale alla versione definitiva del “Preambolo dottrinale”, che la Santa Sede vuole far loro accettare come precondizione per il ritorno nella piena comunione della Chiesa. Il 21 febbraio da Roma era stata loro posta una sorta di ultimatum, poi puntualmente scaduto senza che arrivasse l’accettazione auspicata e richiesta.
Le iniziative di Francesco
Ma dal 13 marzo scorso Roma ha il suo nuovo Vescovo, Francesco, che finora non ha mai perso occasione di rendere omaggio a Benedetto XVI, ponendosi nella sostanza in linea con quanto da lui portato avanti. La mano tesa agli scismatici lefebvriani Ratzinger l’aveva di fatto offerta con il motu proprio “Summorum Pontificum” del 2007, che liberalizzava l’uso del messale preconciliare del 1962 e la messa in latino. Si vedrà se, con la nomina di monsignor Pozzo, Francesco riuscirà a superare lo stallo per la ricomposizione di una unità tanto auspicata anche dal suo predecessore.