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Incontro con il Ministro Giovannini alla Versiliana, tante belle parole ma i fatti?

 

L’Italia è ancora una Repubblica fondata sul lavoro?

Questa è la domanda attorno alla quale è stato organizzato il ciclo di incontri del Caffè la Versiliana che ha visto come ospiti il segretario della CGIL Susanna Camusso e il ministro Enrico Giovannini rispettivamente il 5 e l’8 agosto 2013, a Marina di Pietrasanta. A questi incontri ho partecipato come ospite occasionale, dato che mi trovavo in vacanza proprio qua in Versilia e caso ha voluto che leggessi le locandine degli eventi del caffè della Versiliana.

Ho quindi approfittato per ascoltare testimoni privilegiati del tema “lavoro” e “politiche sociali”. Un’occasione troppo importante a cui non potevo non partecipare, seppure come semplice spettatore. Inizio con il fare alcune considerazioni sull’organizzazione degli incontri e poi passerò alla “sostanza” del dibattito.

I due incontri hanno seguito la classica impostazione del talk-show alla Maurizio Costanzo. Uno show vecchio e per nulla avvincente, a tratti noioso. Un’impostazione di intervista faccia a faccia con un pubblico non partecipante che è stata davvero poco piacevole, a maggior ragione quando due delle dieci-dodici file di sedie presenti sono sempre riservate a un gruppo di anziani privilegiati, privilegio che non si sa bene sulla base di quali motivi è concesso.

Ma ancora più fastidioso è stato il fatto che a questi incontri la possibilità di interagire con gli ospiti sia quasi inesistente: 30 minuti residui nel caso dell’incontro con Susanna Camusso e nessuna domanda con il Ministro, fatto salvo poi che alcuni del pubblico si sono indispettiti e hanno chiesto la parola nonostante gli organizzatori. A che servono incontri di questo tipo se poi manca l’interazione con il pubblico? Il tutto poi si riduce ad un comizio o ad un’elencazione di cose e fatti che si conoscono già e che si sentono sui telegiornali o in qualche dichiarazione televisiva dei diretti interessati.

Insomma, l’organizzazione mi è sembrata molto poco innovativa, lacunosa e noiosa. Detto ciò, Camusso e Giovannini, seppur in momenti distanti hanno detto cose interessati e molto importanti, peccato che non ci sia stato alcun modo di approfondire certi aspetti della discussione. Ma tant’è. Cercherò di ripercorrere quanto affermato dal Ministro Giovannini, dato che di Camusso ho già parlato >>qua << e di porre delle domande generiche che rivolgo al Ministro e alla Politica in generale.

L’Italia è ancora una Repubblica fondata sul lavoro? Mentre la Carta lo afferma, la realtà la smentisce. Il numero dei disoccupati cresce di mese in mese. La condizione dei giovani è quella che preoccupa maggiormente. Siamo orami al 40% di disoccupazione giovanile, milioni di giovani in cerca di un’occupazione che non c’è. Ma non solo, ci sono anche più di 2 milioni di giovani che non studiano e non lavorano e nemmeno cercano un’occupazione, i cosiddetti NEET. Negli ultimi anni le famiglie hanno perso più del 10% del reddito al netto dell’inflazione, con la riforma delle pensioni si è creato un effetto ricchezza negativo dovuto all’innalzamento improvviso dell’età pensionabile e all’effetto “collaterale” degli esodati. Famiglie che sono prossime alla povertà a causa dell’assenza sia di una occupazione sia di una pensione.

Il ciclo di crisi è in atto da 5 anni e questo ha comportato una perdita di benessere generale senza precedenti. Non a caso il Ministro Giovannini, ex presidente ISTAT che conosce perfettamente la storia statistica del Paese e dell’economia, ha definito questa crisi la più grave mai affrontata dall’Italia Repubblicana. Proprio L’ISTAT ha indicato che per l’ottavo trimestre consecutivo il PIL non è cresciuto,ma diminuito. Il Ministro si dice ottimista, dato che rispetto al trimestre precedente il PIL è decresciuto solo dello 0,2% quindi poco. Mentre la produzione industriale a giugno ha registrato un aumento che lascia ben sperare per il futuro prossimo.

Ma è davvero così?

Avremmo potuto approfondire questo argomento, magari con qualche domanda, ma i giornalisti presenti non hanno ritenuto importante andare a fondo di questo problema. In verità, il problema del Paese Italia non è tanto questo o quel trimestre, ma il fatto che rispetto al contesto internazionale siamo poco competitivi e la nostra industria è ancorata a modelli produttivi desueti che presto saranno completamente inutili. Il Ministro preferisce parlare di ciò che il Governo Letta ha fatto (o non ha fatto) in questi primi 100 giorni. Parla del pacchetto Giovannini come la manna che salverà il Paese, ma i buoni propositi sembrano piuttosto deboli. Il tutto ruota attorno alla concessione di incentivi, ossia nuovo sperpero di risorse in modo non strutturale. Incentivi a questa o quell’impresa per assunzioni, miranti a scontare di 2-4 punti il costo del lavoro. Parla della “garanzia giovani”, ossia un percorso che prevede per i neodiplomati e per i neolaureati che entro i 4 mesi successivi ricevano 1 offerta di colloquio e 1 offerta di tirocinio retribuito. Si dimentica di dirci:

1) chi dovrebbe fare questa offerta,

2) se a questa offerta poi deve seguire una assunzione,

3) chi paga lo stage,

4) se alla fine dello stage è previsto l’inserimento o meno.

Sarebbe stato bello approfondire il tema, specialmente per me, che da anni scrivo e dico che lo stage deve essere retribuito, come lo strumento tedesco “ausbildung”. Lo scrissi all’ex vice ministro Martone e lui disse che lo stage andava riformato. Oggi però, questa riforma che sembra positiva, non è stata spiegata e quelle domande non hanno risposta. Speriamo che prossimamente il tema venga ripreso e affrontato più seriamente.

Il Ministro parla delle imprese e della paura che esse hanno nell’assumere, ma con lo strumento dello stage fino ad oggi le imprese si sono arricchite sulle spalle dei giovani laureati o diplomati. Manca in questo discorso un riferimento serio alla questione della formazione, della valorizzazione del Capitale Umano (CU). Sul CU il Ministro ha accennato qualche cosa, sostenendo appunto il rischio di perdita di CU e di valore. Secondo alcune stime offerte dal Ministro, solo la presenza dei NEET costa all’anno, allo Stato, oltre 25 miliardi di euro di perdita di investimento nel CU. Che dire? Investiamo nella formazione e nella ricerca? Magari si trovano risorse capaci di generare ricchezza nel medio-lungo termine. Ma di questo il Ministro non ha parlato.

Altro tema è la questione dei disoccupati di lunga durata e delle persone che a causa della riforma pensionistica, una volta perso il lavoro sono a pochi anni dal pensionamento e non trovano più una occupazione. A questa fascia di popolazione mancano le tutele sociali ed economiche minime per poter sopravvivere. Avremmo potuto parlare di reddito di cittadinanza o di forme alternative d’impiego: formazione continua e reinserimento con contratti ad hoc per queste persone. Il Ministro non dice niente in merito.

Il Ministro, un professore, riesce a spiegare molte cose in modo chiaro ed efficace. Convince tutti, ma quando si alza per non avere un “contradditorio” la platea si irrita e il siparietto (come è descritto da uno degli spettatori) crolla. Iniziano le critiche e molti chiedono di intervenire, ma i giornalisti dicono che non è possibile. Per grazia del Ministro, sono concesse solo 3 domande, offerta a quelli in prima fila. Un siparietto pessimo, segno anche dei problemi di questo Paese.

Avevo, qualche mese prima, partecipato ad un incontro con il presidente della SPD di Berlino a cui aveva partecipato anche il vice presidente SPD del Parlamento. Un mondo diverso. Eravamo una trentina ad ascoltare, prima di parlare ha stretto la mano a ciascuno di noi, ringraziandoci di essere lì. Questo è un altro modo di intendere il ruolo pubblico e il senso stesso del “servire” lo Stato. Ma tant’é.

Voglio concludere questo intervento con alcune riflessioni che avrei voluto condividere con il Ministro.

Si parla di “lavoro” sempre in termini di “assistenzialismo” e di “presente”. Ma il Lavoro è soprattutto sguardo al futuro e strumento per essere indipendenti. Il lavoro consente di emanciparsi dal bisogno e dalla necessità, anche di dover dipendere dallo Stato. Si affrontano i temi del lavoro sempre e solo dal punto di vista del PIL e della disoccupazione, ma non si fa mai il passo successivo: in che modo è possibile creare occupazione? In che modo è possibile generare ricchezza?

La risposta, per me, è nella formazione e nella riforma del sistema educativo italiano che, come ho già detto in altre occasioni, è distaccato in modo totale dal sistema produttivo ed economico del Paese e dell’Europa. Ma non solo, è anche indispensabile creare investimenti affinché il sistema economico-produttivo stesso si rinnovi. Personalmente non credo che le PMI rappresentino più una risorsa del Paese. Nella letteratura sociologica ed economica, i distretti industriali e le PMI sono eccellenze, ma questa letteratura risale a 30 anni fa. E professoroni di ogni sorta hanno costruito la loro fortuna su questi studi, peccato che si siano fermati lì e non abbiano visto che il mondo intanto andava avanti. Con Paesi emergenti come Cina, India e Brasile, le nostre PMI hanno qualche opzione? Non credo.

Anche il Ministro parla del supporto all’auto-imprenditoria. Ma se c’è un Paese di tutti imprenditori, chi lavora poi per far funzionare tutto il resto? Forse lo Stato dovrebbe optare per sostenere la creazione di imprese di più grandi dimensioni, favorire l’accorpamento invece dello scorporamento, valorizzare l’aggregazione anziché il proliferare di micro-imprese che non hanno reali opportunità di competere sul mercato internazionale con imprese straniere più grandi e strutturate. Forse è il caso di comprendere che la società italiana non è la stessa di 50 anni fa e soprattutto che il Mondo è cambiato in modo radicale.

In che modo poi è possibile attirare investimenti? Il Ministro dice che sono 4 gli elementi di scoraggiamento per le imprese straniere:

1)      i tempi della giustizia civile troppo lunghi;

2)      i conflitti tra vari livelli amministrativi/istituzionali;

3)      la riduzione del credito e il suo costo;

4)      il costo dell’energia che è troppo alto.

L’Italia però è un Paese ancora benestante, un mercato importante che ha voglia di “spendere”, di rientrare in gioco. Siamo anche un punto di connessione tra mercati emergenti (il Nord-Africa) e rco di talenti e CU. Eppure, L’Italia sembra fare di tutto per scoraggiare gli investimenti e per deprimere i suoi talenti. Perché?

In Italia mancano giustizia ed equità sociale, i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Il Paese si aggrappa a discussioni inutili su certi personaggi, quando milioni di italiani sono sotto la soglia di povertà relativa e altri sotto quella assoluta. Milioni di giovani non hanno possibilità di pensare un futuro e molti anziani si trovano a dover racimolare frutta e verdura dagli scarti dei mercati rionali.

È questa l’Italia che vogliamo? È questa l’Italia del futuro? Allora la fuga è la sola soluzione. La Politica continua ed essere assente e quando c’è, è incompetente. I temi urgenti non vengono affrontati. Lavoro e Istruzione sono legati in modo indissolubile, una riforma dell’uno non può avvenire senza riformare l’altro settore. La ricerca è l’investimento strategico che l’Italia non considera minimamente. Manca un’etica pubblica e un senso civico: l’evasione fiscale è la più alta d’Europa e non sembra diminuire.

L’Italia che vogliamo è altro, ne sono sicuro. Allora cerchiamo di cambiarla.


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