In seguito all’editoriale di ieri del direttore Michele Arnese, “Addio Berlusconi, avanti con Forza Italia Futura”, Formiche.net ha avviato un dibattito sul tema. Questo il primo commento a firma di Massimo Brambilla, consulente e manager.
Nel 1998 l’European Film Awards per la migliore sceneggiatura venne vinto dall’opera prima del regista britannico Peter Howitt. Il film, dal titolo Sliding Doors, racconta come la vita della protagonista si vada a modificare a seconda che riesca a prendere o meno la metropolitana che la riporta a casa dopo una giornata di lavoro conclusasi con un licenziamento in tronco.
Monti e Sliding Doors
E lecito dubitare che Mario Monti, ai tempi Commissario Europeo per il Mercato Interno, abbia mai visto il film ma è probabile che nel corso delle ultime settimane sia sorto un interrogativo nella testa dell’ex premier su come si sarebbe modificata la propria parabola politica se lo scorso mese di Dicembre avesse accettato la proposta proveniente da Silvio Berlusconi di rinunciare a fondare l’ennesimo partito ad personam e farsi federatore dei moderati.
La sentenza su Berlusconi
Questo interrogativo, con una portata amplificata su come sarebbe stata diversa la scena politica Italiana con un nuovo raggruppamento di centro destra a guida Monti, risulta essere di ancora maggiore rilevanza alla luce dell’attualità politica degli ultimi giorni caratterizzati dalla condanna a titolo definitivo del leader del Pdl e dalle inevitabili future conseguenze, nonostante le dichiarazioni dello stesso Berlusconi, in merito alla capacità di tenuta del Governo Letta nel medio termine in uno scenario politico giunto ai massimi della storica polarizzazione tra Berlusconiani ed anti Berlusconiani.
L’offerta del Cav. a Monti
Già nello scorso mese di Maggio, in un mio intervento su Formiche, segnalavo come l’archiviazione definitiva del fallimentare periodo della Seconda Repubblica non potesse non passare tramite una pacificazione nazionale da attuarsi per mezzo della storicizzazione della figura di Silvio Berlusconi (unitamente a quella di Romano Prodi). L’offerta del Cavaliere al premier uscente Monti va letta appunto in questo senso, vale a dire come manifestazione del desiderio di lasciare il ruolo di leader dello schieramento del centro destra a un soggetto che veniva percepito come rappresentativo della medesima area culturale, lasciando al signore di Arcore un mero ruolo onorifico che ne avrebbe sancito de facto l’uscita dall’arena della politica attiva.
Il no di Monti e le sue conseguenze
Come andarono le cose è noto, Mario Monti, probabilmente anche dietro consiglio dei numerosi cortigiani che lo circondavano nel corso di quelle settimane, sdegnosamente non rispose mai all’invito proveniente da Arcore, dando inizio a quella serie di errori in termini di strategia politica (che includono l’alleanza con Casini e Fini, nemici giurati del Cavaliere, e i frequenti occhieggiamenti al Partito Democratico durante la campagna elettorale) che determinarono il risultato mediocre ottenuto alle urne da Scelta Civica e la successiva immeritata ma inarrestabile marginalizzazione della figura dell’ex premier nella scena politica nazionale.
Certamente la Storia non si costruisce con i se ed ogni esercizio di ricostruzione ex post delle vicende sulla base di differenti scenari rischia di tradursi in uno sterile esercizio di fantasia, ma è molto probabile che se Monti avesse accettato l’offerta di Berlusconi la cronaca politica di questi giorni sarebbe stata molto diversa.
Con Monti leader del centrodestra
In primo luogo Monti avrebbe potuto guidare dall’interno una strategia di modernizzazione del centrodestra italiano, imponendo un profondo rinnovamento sia della classe dirigente che della comunicazione, passando da una proposta politica demagogica condita da un populismo anti europeista ad un’impostazione più matura e liberale, maggiormente vicina ai grandi partiti conservatori presenti nelle democrazie più evolute. In secondo luogo, l’impatto della condanna di Berlusconi (ammesso e non concesso che avrebbe avuto luogo) non avrebbe avuto le stesse conseguenze politiche, non trattandosi più della condanna del leader di una delle principali forze a sostegno del Governo ma di quella di un autorevole membro onorario ormai non più al timone del partito, il che avrebbe neutralizzato ogni possibile impatto sull’Esecutivo e diminuito la polarizzazione dell’opinione pubblica.
Le aperture di Montezemolo
In questo senso vanno lette con interesse le recenti dichiarazioni di apertura da parte di Montezemolo nella misura in cui queste non siano figlie di una mera tattica volta a cannibalizzare consensi dall’area del Pdl (il che sarebbe vano visto che le vicende giudiziarie di Silvio Berlusconi rischiano di rafforzare la capacità dello stesso di attrarre consensi) o, peggio ancora, di garantire qualche poltrona nelle istituzioni a personalità vicine al capo. È mesi che in tanti ripetiamo che è necessario costruire in Italia una forza di centro destra moderna e liberale fondamentale per ricostruire la cultura politica di un Paese polarizzato da 20 anni tra un cieco fideismo nei confronti di un leader carismatico ed un’opposizione altrettanto ostile ad ogni forma di dialogo.
Vocazione maggioritaria
Il punto è che per giungere a questo obiettivo e perseguire l’unica vocazione possibile che non può non essere che maggioritaria è necessario avviare un dialogo con chi negli ultimi decenni ha saputo catalizzare il voto di milioni di Italiani a patto che il suddetto dialogo sia fondato su basi solide, lucide strategie ed obiettivi chiari e non sull’integrazione con qualche innesto di una classe dirigente inadeguata, superata ed ostaggio di tanti piccoli capi corrente portatori di obiettivi di conservazione della propria carica, ma sulla integrale modernizzazione sia della stessa che della relativa proposta politica. È finito il tempo della tattica e dei rifiuti sdegnosi ed ora serve coraggio e visione. Perché, in caso contrario, ad essere ulteriormente marginalizzato sarà quel residuo di cultura liberale che ancora nonostante tutto esiste nel Paese.