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Egitto, perché non ci sarà una nuova crisi di Suez

La guerra civile che sconvolge l’Egitto tiene con il fiato sospeso le potenze occidentali. Oltre a questa, Usa e Ue mostrano poche reazioni concrete, farcite spesso più da ipocrisia che da veri intenti pacificatori. E mentre cresce l’insoddisfazione anche tra i cittadini americani per la risposta della Casa Bianca alla crisi nel Paese, ad essere impensieriti restano i colossi tra gli assicuratori marittimi che scrutano l’evolversi della situazione presso il canale di Suez, via strategica e storica dei commerci internazionali, soprattutto di petrolio ed armi.

Gli assicuratori Lloyd e Skuld

Sono poche le imprese seriamente  in ansia per il destino del Canale di Suez, il passaggio lungo 120 miglia tra Mar Rosso e Mediterraneo. Come riporta Quartz, La Lloyd di Londra, che assicura le navi che transitano nel canale, dice di non essere preoccupata per la sua operatività o sicurezza. Più prudente l’assicuratore marittimo Skuld, che sta mettendo in guardia gli equipaggi delle navi in transito, specialmente se si allontanano al largo delle coste.

Quanto vale oggi Suez

Problemi ci sono, certo. Il coprifuoco istituito dalla legge d’emergenza egiziana ha ristretto le operazioni portuali serali e i prezzi del petrolio sono cresciuti leggermente a causa dei ritardi nel canale a 110 dollari al barile, ma ancora al di sotto del picco raggiunto nello scorso inverno a 118 dollari al barile. A transitare nel canale ogni giorno sono circa il 3% dell’offerta mondiale di petrolio, 2,5 milioni di barili, e l’8% del commercio mondiale.

Il focus del governo militare sul canale

La prospettiva che intimorisce gli assicuratori è quella di un’apertura del canale anche in tempo di guerra. E, secondo il governo militare, Suez è troppo importante per l’economia egiziana per poter essere bloccato, non a caso la nuova leadership ha fatto della sicurezza di Suez una priorità assoluta. Le entrate del canale hanno contribuito con 2,4 miliardi di dollari all’economia egiziana nella prima metà del 2013, e generalmente rappresentano circa il 10% delle entrate del Paese. U tesoretto irrinunciabile, se si considera che le riserve valutarie egiziane sono scese quest’anno al di sotto dei 10 miliardi di dollari.

Mentre i generali egiziani si godono i miliardi di dollari che arrivano senza fatica dal Golfo, il Paese ha un problema serio nella bilancia dei pagamenti che ha esacerbato le difficoltà economiche e la carenza di cibo, scatenando le rivolte politiche. Nel frattempo, Unione europea e Stati Uniti sono sotto pressione per tagliare gli aiuti economici al Paese dopo diversi giorni di stragi e massacri.

L’insoddisfazione dei cittadini Usa

Secondo un sondaggio condotto da Pew Center Research e pubblicato dal Washington Post, la maggior parte degli americani, il 51%, vuole che gli aiuti all’Egitto vengano bloccati. Lo studio mostra quindi anche l’insoddisfazione per la risposta del presidente Obama alle violenze crescenti in Egitto. Solo il 12% degli intervistati si trova d’accordo con la linea seguita dalla Casa Bianca fino ad oggi, mentre il 56% la accusa di non aver saputo gestire la situazione. Ma sono pochi gli americani che stanno seguendo con attenzione le vicende egiziane, solo il 22%, e le loro opinioni potrebbero quindi cambiare in fretta. Un disimpegno arabo, naturalmente, sarebbe anche la conseguenza della nuova indipendenza energetica di cui può vantarsi l’America di Obama, un volano economico che travolge anche la middle class perno della ripresa economica degli Stati Uniti.

Il blocco degli aiuti civili

Gli Stati Uniti hanno cominciato i primi passi formali, e che sanno tanto di facciata, per bloccare gli aiuti economici all’Egitto. Per ora si tratta solo dei finanziamenti destinati ai progetti civili, non il grosso dei soldi che va invece ai militari.
Washington manda al Cairo 1,55 miliardi di dollari ogni anno, dall’epoca della firma della pace con Israele a Camp David. Di questa somma, 250 milioni vengono distribuiti dall’Agency for International Development allo scopo di finanziare iniziative come l’istruzione e l’addestramento professionale; il resto va alle forze armate, che poi acquistano armi, mezzi e pezzi di ricambio dagli Usa. Il governo americano, secondo il New York Times, sta pensando di fermare la prima voce degli aiuti, anche se il dipartimento di Stato ha detto che non sono state prese decisioni e ha invitato Il Cairo a “non mettere al bando i Fratelli musulmani”. Dello stesso tenore le dichiarazioni del capo del Pentagono, Chuck Hagel, che ha esortato a “politiche più inclusive”.

La consegna dei caccia F-16

Il governo, però, non ha ancora deciso cosa fare dei 585 milioni di dollari che restano ancora da consegnare ai militari, come ultima rata dell’anno, anche se ha sospeso la consegna di 4 caccia F-16, ha annullato un’esercitazione congiunta e sta valutando il rinvio della spedizione di elicotteri Apache.

La necessità per l’Egitto che Suez resti aperto 

La chiusura del canale può essere sfruttata come una carta da giocare per ricattare l’Occidente e spingerlo a non bloccare gli aiuti? Forse, ma l’Egitto probabilmente ha bisogno delle entrate del canale più di quanto si affidi agli aiuti di Usa e Ue, e, almeno per le navi che trasportano container una nuova rotta che passi per il Capo di Buona Speranza comporterebbe costi più alti, certo, ma non troppi ritardi nelle consegne di merci. Cambiano i tempi e con loro le strategie, come il focus storico della Gran Bretagna, che da Egitto e Nilo (in un asse verticale che la riconduceva al Sud Africa) controllava Suez, per garantirsi l’accesso alla Perla dell’Impero, l’India. Oggi Suez serve, ma all’Egitto più che a chiunque altro.


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