Grazie all’autorizzazione dell’editore, pubblichiamo il commento di Diego Gabutti apparso sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.
Parliamo di grazia presidenziale prendendola di lontano. Qualcuno ricorda l’ex presidente della camera, quello alto e impettito, che a volte salutava romanamente i camerati e altre volte si metteva una kippah in testa per poi sospirare onorando le vittime dell’Olocausto davanti al Muro del Pianto di Gerusalemme?
Ebbene, Gianfranco Fini era contrario alla grazia per Adriano Sofri, condannato quale mandante dei killer che uccisero il commissario Calabresi, mentre Silvio Berlusconi era invece dell’idea che gli fosse concessa dall’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Eppure fu Fini a passare per progressista quando Berlusconi lo mise alla porta e l’ex capomanipolo dei neofascisti s’improvvisò «futurista» tra gli applausi del centrosinistra (e forse persino dello stesso Sofri).
Futurista, in quella breve, curiosa parentesi di storia patria, stava per politicamente devoto alle cause care alla meglio gioventù, evolutasi nel frattempo in terza età senza paura e senza macchia, mentre «Berlusconi», allora come oggi, sta invece per forza palese e oscura insieme della peggior reazione. Misteri italiani.
«[_] la sensazione di vivere in uno Stato schizofrenico a ogni livello di responsabilità è molto sicura e sinceramente sofferta tra gli opinionisti del bar sotto casa, il luogo dove in tutta Italia si forma in realtà ilc onsenso o il dissenso. La legge – replica serioso il vigilo bevendo il suo latte più o meno macchiato – è la legge» (Fruttero & Lucentini, Sostava, il delinquente!, in Fruttero & Lucentini, Il ritorno del cretino, Mondadori 1992).
Berlusconi, come Sofri, non intende chiedere la grazia, né vuole che la chieda al suo posto qualche familiare, come prevede la legge. Come Sofri, anche lui vuole essere graziato, ma senza riconoscere, chiedendo clemenza a Giorgio Napolitano, la fondatezza della sentenza. C’è però una differenza – sempre alla voce «misteri italani» – tra il fondatore di Forza Italia e il fondatore di Lotta continua.
Sofri, in quanto innocente a prescindere, aveva diritto alla grazia senza doverla chiedere (e gli sarebbe stata concessa, se soltanto il presidente Ciampi non si fosse mosso troppo tardi, a poche ore dalla fine del mandato) mentre all’Ubu Roi del Pdl, un delinquente abituale se mai ce n’è stato uno, non è permesso nemmeno pensarci. Tutti eguali (chi più, chi meno) davanti alla Legge.
Un altro «mistero italiano»? Mentre a Sofri e ai suoi supporter, sia de destra che de sinistra, dal Foglio a Repubblica, è concesso sia discutere che contestare le sentenze, protestando la propria innocenza e accusando i giudici d’incompetenza e pregiudizio, a Berlusconi no, non è concesso. Sebbene lo stesso presidente della repubblica, invitando Berlusconi a presentare una domanda di grazia, poi si vedrà, abbia detto forte e chiaro che le sentenze si possono discutere, è bene che il leader degl’Impresentabili non lo faccia.
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