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Bo Xilai, luci e ombre del processo del secolo in Cina

Bo Xilai “si è macchiato di crimini gravi per i quali non ci dovrà essere clemenza”, è la posizione dell’accusa che ha chiesto una condanna severa per il deposto leader comunista a giudizio in quello che è già stato definito il processo del secolo in Cina. La sentenza è attesa nei prossimi giorni, ma una data certa non è ancora stata comunicata.

L’arringa finale è arrivata al quinto giorno di processo. Una lunghezza insolita per i tempi della giustizia cinese. Un anno fa il processo contro la moglie di Bo, Gu Kailai, condannata a morte con sospensione della sentenza per l’omicidio dell’uomo d’affari britannico Neil Heywood, durò appena un giorno. Ma quello contro Bo non è un processo come gli altri. Alla sbarra c’è un esponente dell’aristocrazia rossa della Cina, un politico fino a un anno e mezzo fa dato in procinto di accedere ai vertici del Partito comunista, non però alla presidenza o alla guida del governo per ragioni di età.

I cinque giorni di dibattimento sono stati quasi uno spettacolo per i cinesi e gli osservatori che hanno seguito i lavori attraverso il canale Weibo, il Twitter cinese, aperto dalla Corte intermedia di Jinan. Nell’aula di tribunale della città dello Shandong, l’ex numero uno del Partito a Chongqing ha ribattuto alle accuse di abuso di potere, appropriazione indebita e di aver ricevuto tangenti per un valore di 27 milioni di yuan, circa 3,3 milioni di euro.

Il momento topico del processo è stato il faccia a faccia tra Bo e il suo ex braccio destro, Wang Lijun, la cui fuga nel consolato statunitense di Chengdu in cerca di asilo politico mise in moto gli eventi che contribuirono alla caduta del principino rosso. Più che a dimostrare la colpevolezza di Bo, che dal canto suo ha negato tutte le accuse, accentuando la responsabilità soltanto per alcune vicende minori, il processo ha messo in luce lo stile di vita di una delle famiglie del potere in Cina. Un modello che potrebbe essere applicabile a molti altri alti funzionari cinesi, mentre il Partito comunista è alle prese con una compagna anti-corruzione e contro l’ostentazione.

Parte dell’attenzione si è concentrata sull’insolita trasparenza nel coprire l’appuntamento che sotto alcuni versi ha assunto l’aspetto della saga familiare con le ammissioni sulle relazioni extraconiugali di Bo, il giro di favori e tangenti che andavano a finanziare lo stile di vita elitario del leader deposto, della moglie Gu Kailai e del figlio Bo Guagua, in gran parte a spese dell’uomo d’affari Xu Ming.

Scrive il South China Morning Post che le trascrizioni del dibattimento rese pubbliche hanno subito alcuni tagli. In particolare quelle che avrebbero potuto giovare eccessivamente all’immagine di Bo mettendo in cattiva luce Pechino. A esempio sono spariti alcune delle frasi con cui l’ex stella della politica cinese si mostrava più vicino alla moglie, mentre compaiono quelle in cui la definisce una pazza, che lo accusava dopo aver subito pressioni.

Secondo un’interpretazione diffusa lo svolgimento del processo è frutto di un copione ben orchestrato. D’altronde alla sbarra siede un politico di primo piano, che ancora gode di sostenitori nel suo feudo di Chongqing, conquistati con la lotta contro le triadi, con politiche di sostegno alle fasce più deboli della popolazione e intervento statale nell’economia e anche con la retorica maoista fatta di mobilitazioni, sms con citazioni del Grande Timoniere e slogan. A lungo si è ritenuto che il modello Chongqing potesse essere esportato a livello nazionale, mentre Bo diventava il catalizzatore di quelle forze riconducibili alla sinistra nazionalista.

Pur a processo, come dimostrano le manifestazioni di solidarietà fuori dal tribunale, esercita ancora interesse nel Paese e si pensa tra le file stesse del Pcc. Un equo processo, o almeno la parvenza, potrebbero quindi evitare lotte interne, anche perché da più parti l’intera vicenda Bo è considerata un regolamento di conti dentro il Pcc, una lotta di potere e sul modo di gestire il potere e la Cina.

Secondo The Diplomat, il tentativo di dare la parvenza del rispetto dello stato di diritto, lo stesso che non fu garantito a chi finiva nella rete anti-criminalità di Bo, non ha dato i risultati previsti. Prima di essere consegnato alla magistratura l’imputato è stato per mesi in mano alla Commissione disciplinare del Pcc, un organismo che lavora in segreto e con discrezione e i cui metodi non escludono la forza. Su tutta la vicenda è stato mantenuto inoltre grande riserbo. Infine il modo stesso in cui il processo si è svolto è legato alla figura di Bo e al suo ruolo e importanza all’interno della nomenclatura cinese.



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